Davanti agli ultimi dati Istat sul lavoro, hanno esultato entrambi. Luigi Di Maio ha detto: “Oggi è davvero una bella giornata. Sono felice di smentire i chiacchieroni”. A seguire Matteo Salvini: “Avanti così”. E i numeri sono positivi. Il tasso di occupazione raggiunge il 59% per la prima volta da quando ci sono le serie storiche, e i disoccupati scendono al 9,9%, sotto la “soglia psicologica” del 10% per la prima volta dal 2012. Con una postilla da aggiungere, però: a trainare la crescita occupazionale sono i “lavoratori anziani” over 50, con un +1,6% (anche al netto della componente demografica). Risultato della maggiore permanenza degli occupati nel mondo del lavoro dopo la riforma Fornero sulle pensioni, nonostante “quota cento”, che ha visto molte meno adesioni del previsto (142mila a inizio giugno), probabilmente perché troppo penalizzante. In compenso, nell’esultanza dei dati positivi, a restare a mani vuote sono i più giovani. Con gli inattivi, gli sfiduciati che un lavoro non ce l’hanno e hanno smesso pure di cercarlo, che aumentano in tutte le fasce d’età, tranne che tra i lavoratori anziani.
A maggio 2019, Istat conta 67mila occupati in più in un mese. Un effetto dovuto anche all’impennata dei lavori stagionali per l’avvio dell’estate. Per fare un confronto, a maggio 2018, gli occupati in più rispetto al mese precedente erano stati 114mila. Ma in questa cifra, i giovani latitano. Tra i 15 e i 24 gli occupati non solo non crescono, ma diminuiscono dello 0,7% (14mila in meno), con un aumento degli inattivi dello 0,2% (+11mila). Lo stesso succede nella fascia di mezzo 35-49 anni:tasso di occupazione -0,1% e inattivi a +0,1%. Mentre quella degli over 50 è l’unica fascia che vede aumentare gli occupati dello 0,4%, con una discesa dello 0,1% degli inattivi.
Depurati dalla componente demografica, i più anziani guidano la crescita dell’occupazione con 1,6%, e una riduzione della disoccupazione del 13,3%. In confronto, tra i giovani gli occupati crescono di meno di un terzo (+0,5%) e i disoccupati diminuiscono del 5,2%. La disoccupazione giovanile scende così al 30,5%, ma l’Italia si ferma comunque al terzo posto dopo Grecia e Spagna.
Risultato della maggiore permanenza degli occupati nel mondo del lavoro dopo la riforma Fornero sulle pensioni, nonostante “quota cento”, che ha visto molte meno adesioni del previsto, probabilmente perché troppo penalizzante
Risultato: il tasso di occupazione tocca il 59% per la prima volta da quando ci sono le serie storiche. Pur facendo fermare l’Italia al penultimo posto in Europa, poco sopra la Grecia. Mentre il tasso di disoccupazione scende al 9,9%, anche a seguito delle revisioni sui dati dei mesi precedenti. In un mese coloro che non hanno un lavoro e lo cercano sono diminuiti di 51mila unità. Ma anche in questo caso non ci spostiamo dal terzetto peggiore in fondo alle classifiche europee. Con una differenziazione netta di genere: nel mese cresce solo l’occupazione maschile (+66mila), mentre è ferma quella femminile. Su base annua, invece, gli occupati in più sono 92mila. E le donne occupate crescono quasi tre volte più degli uomini (+64mila).
Quanto alla tipologia di contratti, ad aprile crescere di più sono stati gli autonomi (+28mila), seguiti dagli occupati a tempo indeterminato (+27mila), e infine da quelli a termine, che sono la metà con +13mila. Una conseguenza probabile del decreto dignità, dopo il giro di vite sui requisiti per i contratti a tempo determinato. Le trasformazioni dei contratti a termine in contratti permanenti aumentano, anche se non si tratta di grandi numeri. Mentre i contratti a tempo determinato nel trimestre sono cresciuti solo dello 0,1%, affiancati da una ripresa delle partite Iva, che invece erano ferme da tempo, probabilmente preferite ora dai datori di lavoro per evitare le stabilizzazioni. Dati che si possono trovare nel dettaglio dei numeri dell’Inps, che ad aprile 2019 certifica una riduzione non solo dei contratti a termine ma anche dei contratti a tempo indeterminato (-53mila in un anno), con un aumento degli stagionali. In linea con il periodo dell’anno, appunto.
Tra i 15 e i 24 gli occupati non solo non crescono, ma diminuiscono dello 0,7% (14mila in meno), con un aumento degli inattivi dello 0,2% (+11mila)
Dati positivi che arrivano però mentre le ore di cassa integrazione nei primi cinque mesi dell’anno sono quadruplicate. L’elaborazione del Centro Studi Lavoro&Welfare, su dati Inps, evidenzia come mentre tra il 2013 e il 2018 la cassa integrazione è diminuita del 77% passando, sempre nei primi cinque mesi, da 461 milioni di ore a 104 milioni, dall’inizio di quest’anno è tornata a salire dell’11,4%, con 116 milioni di ore. Le aziende in crisi che sono coinvolte dalla cig sono 575 per oltre 1.000 siti produttivi. Con la cassa in deroga, di solito anticamera dei licenziamenti, aumentata del 32%. Tradotto, vuol dire che in ore equivalenti a posti di lavoro a tempo pieno, è come se fossero assenti dall’attività produttiva, dall’inizio dell’anno, 133mila lavoratori, di cui oltre 83.000 in cig straordinaria.
Numeri che dovrebbero far tremare e non esultare Luigi Di Maio, come titolare del ministero Sviluppo economico e del Lavoro insieme. Anche perché, mentre il ministro e i suoi parlamentari Cinque Stelle brindavano sui social, nello stesso giorno altri cinque precari dell’Agenzia nazionale per le politiche attive, che fa capo al dicastero del Lavoro, sono rimasti a casa senza lavoro. I “licenziati” da Anpal, l’agenzia che guiderà la fase due del reddito di cittadinanza nella ricerca di un lavoro per i beneficiari, arrivano così a 25. Tutti senza lavoro e non rinnovati anche per le nuove regole del decreto dignità targato Di Maio.