Il leader dei senatori progressisti Chuck Schumer mostrando in aula la fotografia scattata sulla frontiera tra il Messico e gli Usa che ritrae un padre con la figlia di due anni affogati nel Rio Grande nel tentativo di raggiungere il suolo americano ha chiesto: “come fa il presidente a non capire che questi sono esseri umani che fuggono dalla violenza e dalla persecuzione, che sono pronti a intraprendere un viaggio rischioso, a volte mortale, in cerca di una vita migliore?”.
Che Trump abbia ribattuto: “quello che ho visto mi fa orrore. Ma i responsabili sono i democratici non io” è cronaca. E non è su questo che voglio soffermarmi anche perché se lo facessi contribuirei ad alimentare quel vespaio che è la cronaca di questo ultimo periodo, che sciama di accusa in accusa rimettendo ad altri la propria responsabilità, in un assordante rumore che soverchia e nasconde il nocciolo della questione. Io voglio invece riportare la tua attenzione su un piano più alto e nobile per finalità e spessore: quello delle idee. Una dimensione in cui tutti siamo capaci di capirci quando facciamo parlare cuore, anima e cervello. La dimensione presente in ogni lingua del mondo, quella “umana”.
Davvero come essere umano pensi che misure locali di contenimento siano soluzioni organizzative adeguate a farci trovare preparati al futuro che ci sta inondando con tutta la sua potente liquidità? Davvero come essere umano vuoi continuare a credere che un muro edificato per tenere fuori dal tuo sguardo violenze, privazioni, fame, disperazione, automaticamente le elimini? O che non siano un tuo problema? O peggio, che all’improvviso non possa succedere a te di essere dalla parte del muro sbagliata?
L’umanità soccombe quando alza le spalle e guarda altrove pensando che il problema non lo riguardi
Io non ho la soluzione. Ma so che la soluzione emerge quando l’essere umano capisce il perimetro della crisi in cui si trova a vivere, si interroga, indaga e si ingegna per uscirne. L’umanità soccombe quando alza le spalle e guarda altrove pensando che il problema non lo riguardi. E guarda, che non ne sto facendo solo una questione filosofica o spirituale poiché considero “vuoto” quel corpo che sia privo di umanità. Ne faccio una questione prima scientifica e poi pratica: prima di demografia e poi di politica.
“La demografia”, cito wikipedia senza scomodare altre fonti, “è la scienza che ha per oggetto lo studio delle popolazioni umane, che tratta del loro ammontare, della loro composizione, del loro sviluppo e dei loro caratteri generali, considerati principalmente da un punto di vista quantitativo. Dato il suo carattere quantitativo la demografia si basa su molteplici indici statistici.”
“Il termine politica viene utilizzato in riferimento all’attività e alle modalità di governo. Può riferirsi a stati, confederazioni e organizzazioni intergovernative, oppure a entità locali e territoriali più circoscritte, come regioni e comuni: in questi ultimi casi l’azione di governo è detta più propriamente amministrazione locale.”
Dunque, il dato scientifico ci dice che Italia ed Europa sono in pieno “inverno demografico”, una pietosa metafora che racconta di culle vuote e di invecchiamento della popolazione. Secondo un recente rapporto della Fondazione Leone Moressa tra 32 anni l’Italia avrà il 17% in meno di popolazione e oltre il 35% dei cittadini con più di 65 anni. Entro il 2060 a livello Europa, le persone tra i 15-64 anni caleranno dall’attuale 67% al 56%, gli “anziani” saliranno invece dal 18 al 30%. Da 4 persone in età attiva per ogni over-65 si passerà a sole 2.
La cosa peggiore che possiamo fare a noi stessi è di sprecare questi strumenti per assordarci vicendevolmente con un vano chiacchiericcio di fondo
Il nostro buon, vecchio Continente che oggi conta poco più di 510 milioni di persone, dovrebbe vedere un calo di popolazione già dal 2035. Cioè domani. Che ci sia bisogno di più bambini e di più persone al lavoro che possano sostenere gli anziani sempre più longevi, è un dato di fatto crudissimo che dobbiamo capire poiché la recessione demografica comporta quella economica. E qui entra in gioco la politica. Tutti gli studi sugli effetti dello shock demografico indicano che i Paesi che riusciranno a tenere, saranno quelli capaci di garantire in futuro uno sviluppo elevato della qualità di vita, lavoro, retribuzioni, incentivi, sicurezza e sostenibilità. Ma anche di supportare il desiderio di fare figli e famiglia e di offrire lavoro, integrazione, educazione e un ambiente favorevole alle persone che emigrano.
Non commettiamo questo errore! È un problema che ci riguarda tutti. Oggi abbiamo la fortuna di poter intervenire in tempo reale grazie alla tecnologia. Internet, i media e i social media sono strumenti prodigiosi per raggiungere ogni angolo del mondo, per condividere idee, proposte, conoscenze, per svegliare le coscienze, per commuoverci e muoverci verso un ideale condiviso, per organizzare cordate di solidarietà, per trovare fondi e investitori che credano nei nostri progetti. La cosa peggiore che possiamo fare a noi stessi è di sprecare questi strumenti per assordarci vicendevolmente con un vano chiacchiericcio di fondo che alimenta tensione e rabbia, strumenti inadeguati per gestire la trasformazione che oramai è in corso ed è ben visibile.
Parafrasando il teologo statunitense Niebuhr, dico “concediamoci la grazia di accettare con serenità le cose che non possono essere cambiate, il coraggio per cambiare quelle che dovrebbero essere cambiate, e la saggezza per distinguere le une dalle altre”. Ecco, siamo di fronte a una sfida primariamente culturale, che richiede da un lato la saggezza per distinguere che la soluzione è quella di uscire dal nostro miope individualismo, e dall’altro il coraggio per dare nuove interpretazioni alla solidarietà tra le generazioni e tra i popoli.