E dicono, nello stillicidio dei commenti, che la sua carriera, nonostante la folgore iniziale, una specie di Big Bang cinematografico, non sia mai, definitivamente, ‘esplosa’. E allora? Proprio lì, nell’incompiuto, in ciò che poteva e non è stato, nel margine del dubbio, nel senso sprecato, nell’oro fratturato, è il genio. Così, per dire, Robert De Niro, Al Pacino, ‘Leo’ Di Caprio sono soltanto dei ‘divi’, mentre lui, Rutger Hauer è un attore ‘di culto’. Cosa preferiresti?
La prima apparizione nel 1969, l’ultima quest’anno, in una serie russo-cinese, Vij: Journey to China, tratto dal racconto di Nikolaj Gogol’, Vij, appunto. 50 anni esatti di cinema. Centinaia di film. Ha avuto una vita degna di Joseph Conrad, Rutger Hauer: figlio di attori, nato nel 1944 nell’Olanda occupata dai nazi, a 15 anni lascia tutto e va per nave, poi, prima del cinema, approda in qualche porto, calca il palco della vita dandosi a decine di lavori. Come una specie di Lord Jim, ha attraversato la storia del cinema da vagabondo, da avventuriero.
Ormai rotto da un certo invecchiamento, Ladyhawke ha segnato un tratto degli anni Ottanta – la fuga in un mondo parallelo. Michelle Pfeiffer, reduce da Scarface, era di una bellezza diafana e indimenticabile; lui, Rutger, cioè Navarre, il guerriero che si trasforma in lupo, come sempre, mostra l’ambiguità del bene, la luce nel male. Quel Medioevo cinematografico fu ricreato in Italia, tra L’Aquila e Parma, Cremona e Massa Carrara, con la fotografia di Vittorio Storaro.