Un’altra porta in faccia, l’ennesima, alla credibilità del governo gialloverde in Europa. L’ha data con una certa nonchalance Ursula von der Leyen, seduta su una comoda poltrona di pelle in un jet dell’esercito tedesco diretto da Strasburgo a Berlino. Nel colloquio con l’inviato di Der Spiegel, la neo presidente della Commissione europea ha spiegato di non aver fatto alcuna promessa ai partiti al governo in Italia, Ungheria e Polonia in cambio del loro voto favorevole al Parlamento europeo. È passata con soli nove voti di scarto grazie ai voti decisivi del Movimento Cinque Stelle, del partito del premier ungherese Viktor Orbàn e del Pis del leader polacco Kaczynski, ma ora si tiene le mani libere per non dovere nulla ai sovranisti. Nessun particolare commissario europeo all’Italia, nessuna promessa di flessibilità nei conti, nessuna garanzia su tesoretti mirati nel prossimo budget pluriennale dell’Unione europea. «Sono stati formulati dei desideri, ma ci potranno essere delle promesse definitive solo quando l’intero quadro sarà completo». Il messaggio è forte e chiaro: non c’è spazio per i sovranisti nella prossima Commissione europea. Non a caso ieri la prima visita di Von der Leyen è stata a Parigi, ospite all’Eliseo del presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, il primo a proporre il suo nome al Consiglio europeo.
E così cade il castello di carta di ricostruzioni, retroscena, strategie e contro strategie che hanno riempito i giornali italiani nelle ultime settimane. Giuseppe Conte aveva esultato subito dopo la nomina di von der Leyen al Consiglio europeo: «Avremo il commissario alla concorrenza e una vicepresidenza». Un modo per dire che tutti i critici sull’isolamento dell’Italia in Europa si erano sbagliati. L’Italia nel momento decisivo aveva ottenuto il massimo. E invece no. Addirittura secondo una fonte del Movimento Cinque Stelle il presidente del Consiglio avrebbe preso accordi con gli altri premier europei e non direttamente con Von der Leyen. Delle due l’una: o il presidente del Consiglio pensa che von der Leyen sia una marionetta nelle mani di Macron e Angela Merkel solo perché ha avuto il loro appoggio politico e farà tutto quello che dicono oppure ha fatto una mossa avventata per mostrare all’opinione pubblica italiana di non essere stato usato solo per affossare la candidatura del socialista olandese Frans Timmermans. Propendiamo per la seconda.
il messaggio della presidente della Commissione europea è chiaro: vuole due nomi, un maschio e una femmina, presentabili e di alto profilo in grado di passare indenni l’audizione al Parlamento europeo
E dire che per giorni i due alleati di governo hanno litigato via social network. Il Movimento Cinque Stelle ha detto che c’era un accordo con von der Leyen e la Lega si è sfilata all’ultimo. Il Carroccio ha risposto che il M5S ha votato come Macron e Merkel contro gli interessi degli italiani. Tutto il dibattito si è basato su un unico grande equivoco: che il commissario proposto dall’Italia debba fare gli interessi del nostro Paese. Non c’è scritto da nessuna parte. Secondo il Trattato sull’Unione europea i commissari sono designati dai governi ma rappresentano tutti i cittadini europei. Vi piacerebbe se von der Leyen facesse solo gli interessi della Germania? A maggior ragione per un commissario della concorrenza che deve affrontare tanti dossier sulle aziende in crisi e deve impedire gli aiuti nazionali da parte degli Stati.
Von der Leyen vuole due nomi: un maschio e una femmina, presentabili. Niente scheletri dell’armadio, niente portaborse di partito. Ma personalità di alto profilo in grado di passare indenni l’audizione del Parlamento europeo. Solo dopo si potrà giocare al Risiko delle poltrone e vedere se c’è veramente spazio per un italiano alla concorrenza. La neo presidente della Commissione deve trovare 27 nomi e almeno tredici donne, ma per ora dodici Stati hanno designato il loro commissario e solo quattro femmine. Alla Lega spetterebbe scegliere il nome perché ha stravinto alle europee, ma non ha “risorse della Repubblica” a disposizione. A meno di non considerare la vecchia guardia leghista formata dai vari Roberto Calderoli, Roberto Maroni e Umberto Bossi una seria alternativa. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti ha rinunciato, la ministra della pubblica amministrazione Giulia Bongiorno ha ringraziato ma ha rifiutato pubblicamente. All’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti piacerebbe tornare in scena dalla porta principale, ma forse non è mai stato veramente coinvolto.
Anche il Movimento Cinque Stelle non ha tante frecce a disposizione nel suo arco, a maggior ragione dopo che Von der Leyen ha fatto capire di non voler offrire una contropartita in cambio del loro appoggio. E allora fuori uno, fuori un altro, la politica del carciofo alla romana fatta dal Governo potrebbe tirare fuori un cuore da usato sicuro: Enzo Moavero Milanesi. A meno di conigli tirati fuori dal cilindro all’ultimo minuto, l’attuale ministro degli Esteri che sogna da sempre questo ruolo sembra il nome ideale per accontentare Von der Leyen che ha il potere di rigettare qualsiasi proposta. Che piaccia o meno a Lega e Cinque Stelle. Certo, un anno fa i due partiti di governo hanno promesso di ribaltare l’Europa e ora si trovano a dover nominare un politico ultraeuropeista che ha servito nei governi Monti e Letta. Si nasce incendiari, si muore europeisti, anche involontariamente.