L’ennesimo decreto di divieto di entrata nelle acque territoriali, emanato dal ministro dell’Interno contro una nave con migranti a bordo, è giunto dinanzi a un tribunale, ed è solo il primo atto. La Open Arms aveva presentato un ricorso d’urgenza al Tar del Lazio per poter sbarcare le persone che trasportava, dato il loro stato di fragilità. Il presidente della sezione Prima Ter, Leonardo Passanisi, in via di urgenza, il 14 agosto scorso ha sospeso l’efficacia del «provvedimento reso dal Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro della Difesa e con il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’1 agosto 2019» di «divieto di ingresso, transito e sosta della nave Open Arms “nel mare territoriale nazionale”». La decisione del Tar aggiunge così un nuovo tassello al puzzle delle recenti pronunce giurisdizionali in tema di immigrazione. Anch’essa è volta, come decisioni precedenti, a far valere i principi dello stato di diritto e la prevalenza delle regole di rango superiore sul soccorso in mare – per le convenzioni internazionali salvare naufraghi è «adempimento di un dovere» – rispetto alla legge ordinaria e a provvedimenti amministrativi tesi al controllo dei confini. Di seguito, si proverà a spiegare come, nel caso deciso dal TAR, abbiano operato i meccanismi del decreto Sicurezza bis esposti su queste pagine fino alla sua conversione in legge.
Si era scritto sin dall’inizio che il decreto-legge conferiva al ministro dell’Interno uno strumento pericoloso, una prova di quei “pieni poteri” invocati di recente da Salvini: la chiusura delle acque territoriali, nel presupposto che qualunque imbarcazione trasporti stranieri irregolari commetta il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Inutile sostenere che i divieti finora disposti da Salvini siano stati fondati sulle sue preventive valutazioni circa la sussistenza del reato suddetto o la necessità di un effettivo salvataggio. I casi concreti – nessuno escluso – hanno finora dimostrato l’assoluta sistematicità di Salvini nel chiudere le acque territoriali, in base all’automatismo della più volte spiegata presunzione di colpevolezza: ogni nave che abbia a bordo stranieri senza permesso di soggiorno (qualunque ne sia il motivo) sarebbe in combutta con i trafficanti, quindi il suo passaggio sarebbe “non inoffensivo”, per la violazione delle leggi sull’immigrazione, e pertanto va sempre bloccato.
Si era scritto sin dall’inizio che il decreto-legge conferiva al ministro dell’Interno uno strumento pericoloso, una prova di quei “pieni poteri” invocati di recente da Salvini
Il presidente della Sezione del Tar, con la decisione del 14 agosto, ha smontato in concreto quest’assurdo meccanismo, ravvisando nell’atto del ministro dell’Interno contro la Open Arms il «vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti e di violazione delle norme di diritto internazionale del mare in materia di soccorso». Il giudice ha colto in fallo il Viminale là dove ha rilevato la contraddittorietà del provvedimento di divieto: tale provvedimento, da un lato, riconosceva «che il natante soccorso da Open Arms (…) – quanto meno per l’ingente numero di persone a bordo – era in “distress”, cioè in situazione di evidente difficoltà», e quindi necessitava di soccorso immediato; ma, dall’altro lato, affermava che la sua entrata in acque italiane avrebbe dato luogo alla «peculiare ipotesi di “passaggio non inoffensivo”», in quanto preordinato a infrangere le leggi sull’immigrazione. È palese l’illogicità dell’assunto, da cui il Viminale ha fatto scaturire la conseguenza che a Open Arms fosse impedito di portare le persone in salvo. Pertanto, il giudice ha sospeso l’efficacia dell’atto di divieto, ritenendo, «alla luce della documentazione prodotta (medical report, relazione psicologica, dichiarazione capo missione)» che la situazione di eccezionale gravità ed urgenza prospettata dai legali di Open Arms fosse tale da giustificare l’ingresso della nave in acque italiane.
Il ministro dell’Interno ha preannunciato un ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione stessa, ma questa possibilità in diritto è controversa
Si era pure scritto, a seguito della conversione in legge del decreto Sicurezza bis, che ogni provvedimento emanato dal ministro dell’Interno in base a tale legge avrebbe comportato un inevitabile ricorso ai giudici per analizzare le circostanze degli episodi specifici e le responsabilità dei singoli attori: ciò al fine di verificare la prevalenza tra l’interesse delle persone a bordo delle navi che chiedono all’Italia un “porto sicuro” e l’interesse alla difesa dei confini nazionali, operata dal citato ministro mediante il divieto che preclude – finora sistematicamente, lo si ribadisce – l’entrata nelle acque territoriali delle navi che trasportano migranti irregolari. Infatti, il ricorso ai tribunali è proprio ciò che sta accadendo: da ultimo, con l’istanza di misure cautelari da parte della Open Arms per tutelare le persone in stato di fragilità a bordo della nave di soccorso, come detto; ma era già avvenuto con la violazione da parte della Sea Watch 3 del divieto di entrata in porto, per cui la giudice delle indagini preliminari di Agrigento aveva dovuto accertare in concreto se la comandante Rackete avesse agito nel rispetto delle norme che impongono il soccorso in mare e se la scelta di un “porto sicuro” in Italia fosse stata fatta in base a una valutazione corretta.
La recente decisione in via d’urgenza del Tar è solo il primo atto, si è detto. Infatti, il ministro dell’Interno ha preannunciato un ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione stessa, ma questa possibilità in diritto è controversa. Il ministro ha pure affermato di voler emanare un nuovo divieto d’ingresso in porto nei riguardi della nave interessata: ma il ministro della Difesa, oltre a quello delle Infrastrutture, ha già dichiarato di non volerlo controfirmare, in un sussulto di “umanità” che forse sarebbe stato meglio avesse mostrato pure in precedenza, conformandosi al rigore delle regole delle convenzioni internazionali anziché alla flessibilità di certi valori, forse più politici che morali. La decisione giurisdizionale sopra esposta verrà discussa in camera di consiglio il prossimo 9 settembre. Sarà interessante verificare se il collegio confermerà il contenuto del decreto monocratico in via d’urgenza. Da qui a settembre mancano pochi giorni: ma per l’attuale situazione politica sono un’era geologica.