“Houston, abbiamo un problema”. I democratici alla Southern University della cittadina texana come gli astronauti all’Apollo 13: l’allarme c’è e si fa sentire. Così come il rischio di fare la stessa fine. Il dibattito per la corsa alla nomination nel partito democratico in vista delle presidenziali 2020 ha mostrato tutti i limiti e i problemi dei presunti sfidanti di Donald Trump. Nostalgia, radicalismo e accuse gratuite non sono il modo migliore per battere nelle urne il presidente, che da sfavorito nei sondaggi può rovesciare il risultato, ancora una volta. Sapendo quante ore passa davanti alla televisione, sicuramente avrà avuto modo di studiare i suoi avversari. Sorridendo alla fine: se questo è lo spettacolo, ha buone possibilità di ottenere la riconferma.
In fondo gli elettori si sono già espressi sugli anni di Obama: il risultato è Donald Trump alla Casa Bianca.
Secondo gli ultimi sondaggi, dovrebbe essere Joe Biden lo sfidante di Trump, con una netta vittoria finale dell’ex vicepresidente. Una storia che sa tanto di dejà-vu, vecchio di 4 anni. Come per Hillary Clinton anche per il secondo di Obama sono tanti i nodi da risolvere. Il primo è il ricorso nostalgico alla figura dell’ex presidente: gli attacchi ricevuti nell’ultimo dibattito ne sono la prova. Rievocarlo tanto, forse anche troppo, può essere una strategia politica che paga i dividendi nel breve periodo, ma di sicuro non nel lungo. In fondo gli elettori si sono già espressi sugli anni di Obama: il risultato è Donald Trump alla Casa Bianca. Serve una visione politica nuova, o quanto meno diversa da quella del passato. Farfugliare frasi sconnesse sugli Americani e la schiavitù e incerte sul destino delle truppe in Iraq e Afghanistan non può bastare se vuoi ambire alla presidenza.
Storia diversa quella di Elizabeth Warren e Bernie Sanders. Politicamente molto simili, sarà inevitabile il momento in cui arriveranno a pestarsi i piedi così come quello in cui attaccheranno Biden, che ha idee molto differenti dalle loro, in maniera più marcata di ieri sera. Tante le differenze: la prima è la sanità. Tra un piano gratuito universale e un piano moderato c’è differenza. I dubbi espressi da Biden sono legittimi: alzare le tasse ai più ricchi basterà a coprire i costi della sanità gratuita? Una domanda probabilmente uguale a quella che si fa la classe media, spaventata da una proposta che potrebbe significare un nuovo aumento delle tasse. Una visione del mondo troppo radicale e proposte giudicate quasi “eccessive” potrebbero alla fine togliere voti decisivi. Se non alle primarie di sicuro alle presidenziali.
Incertezze, accuse di bassa lega e proposte forse infattibili sono al momento la garanzia migliore per far sì che la Casa Bianca resti la Trump’s House fino al 2024.
E gli altri? I candidati “minori” hanno fatto tutti buone figure, anche se spesso e volentieri sono volati paroloni. In particolare, da Julian Castro, ex ministro di Obama. Riprendere Biden sulla sanità, accusandolo di non prevedere nel suo piano sanitario la copertura per i più poveri e deridendolo per non ricordare quello che aveva dichiarato poco prima, è stato scorretto. L’accusa poi non stava in piedi: poco prima Biden lo aveva esplicitamente detto. Alla fine, gli altri candidati democratici lo hanno inevitabilmente strigliato, ricordandogli che la gente non vuole vedere certi teatrini politici. E hanno ragione. Incertezze, accuse di bassa lega e proposte forse infattibili sono al momento la garanzia migliore per far sì che la Casa Bianca resti la Trump’s House fino al 2024. Se i democratici vogliono davvero costringere il presidente a fare gli scatoloni servirà cambiare subito, prima che sia troppo tardi.