Una serata a New York con Elizabeth Warren, la prof che vuole battere Trump con contenuti, stile e cultura

La candidata democratica rievoca la storia gloriosa di Frances Perkins, eroina dei diritti sociali che lavorò al New Deal con Roosevelt. Ma contro il presidente in carica servirà molto di più

TIMOTHY A. CLARY / AFP

Il discorso di Elizabeth Warren a Washington Square, a New York, mi ha catturato – come si dice – fin dall’inizio. Sebbene sia obbligato a chiedermi se, in tutta quella folla composta da svariate migliaia di persone, con gli studenti della New York University, i professori, il personale, gli hipster, i cittadini a caso, gli spacciatori, i fedeli volontari dei Democratici e quelli della Warren stessa, ci sia stato qualcuno che abbia reagito come me.

La senatrice Warren ha tenuto il suo discorso da un palco proprio accanto all’Arco di Washington Square e per lei l’inizio era l’incendio alla fabbrica Triangle del 1911, avvenuto a un isolato da lì. Ha evocato l’incendio stesso, le fiamme che guizzavano dai piani superiori, gli operai che tentavano di scappare, le uscite bloccate, i lavoratori che, calandosi dal davanzale dell’undicesimo piano, si buttavano verso la morte, le cadute terribili e fatali sul marciapiede, le 146 vittime – ebrei e italiani, come lei stessa ha sottolineato (ed è stato il suo unico riferimento a ebrei, italiani o altri gruppi etnici, eccettuati neri, indiani e nativi americani).

L’ho trovato molto commovente. Io sono il tipo di persona che è stata cresciuta per ricordare l’incendio della fabbrica Triangle: sia quanto sia stato terribile quello, sia quanto sia stato invece straordinario il sindacato dell’ International Ladies Garment Workers Union, i lavoratori delle fabbriche per abiti femminili. Il gruppo divenne sempre più forte e ottenne numerose conquiste proprio in risposta all’incendio. E a Washington Square l’incendio della fabbrica Triangle è stato l’inizio perché tutto il resto del discorso della senatrice Warren è partito da lì.

La causa primaria del disastro – ha spiegato alla folla – è stata la corruzione, fatta in nome dei profitti delle aziende, che ha impedito agli organi regolatori di mettere le regole. Una simile corruzione si trova alla radice delle innumerevoli calamità dei nostri tempi, come la violenza legata alle armi da fuoco (per colpa del potere dei produttori di armi) o gli incendi delle foreste e le altre conseguenze del cambiamento climatico (per colpa del potere di altre corporation), ed è causa degli innumerevoli episodi di ingiustizia razziale (per colpa del potere di altre corporation ancora) e così via.

Questa enfasi insistita sul tema della corruzione può risultare un po’ troppo semplice, almeno dal punto di vista analitico. Ma le ha permesso di dire, in uno dei punti più alti del discorso, che «Donald Trump è l’incarnazione della corruzione», espressione che allude, in modo anche elegante, alla corruzione della carne e che riesce a mantenere comunque un tono piacevolmente aggressivo. È buono e giusto “volare alto”, come diceva Michelle Obama; e il discorso della senatrice Warren è risultato notevole anche perché, con eleganza e civiltà, ha evitato attacchi personali. Ma perfino in una orazione così distinta ci deve essere un pugno sul naso, almeno una volta.

L’incendio della fabbrica di Triangle le ha consentito anche di alludere al ruolo che lei ricopre negli eventi attuali. Ha informato la folla del fatto che, dopo l’incendio, i movimenti sindacali portarono mezzo milione di persone a marciare sulla Quinta Avenue. E che da lì è potuta emergere una grande eroina che, anziché marciare sulle strade, ha lavorato nei corridoi del potere. Questa persona si chiamava Frances Perkins: si è battuta ad Albany, la capitale dello Stato di New York, a favore delle misure di sicurezza sugli incendi e dei diritti dei lavoratori, e da lì è diventata Segretario del Lavoro del presidente Franklin Delano Roosevelt. Dove ha collaborato alla stesura di una serie di importanti programmi statali, dalla previdenza sociale alla regolamentazione della giornata lavorativa.

“Donald Trump è l’incarnazione della corruzione”


sen. Elizabeth Warren

Abbiamo potuto scoprire, insomma, che Elizabeth Warren si identifica con Frances Perkins. Si considera una progressista – cioè, una progressista intesa nel senso americano di una volta, con uno stile riformista anti-corruzione, di sani principi e super-sofisticato di un secolo fa. Ma qualcuno ha mai sentito parlare di Frances Perkins? Una parte importante della folla, non appena è stata nominata, ha applaudito: una cosa splendida da vedere per un vecchio topo di biblioteca come me. Ma, spero, le elezioni non verteranno su questa cosa.

Evocare un personaggio simbolico del passato aveva anche un altro obiettivo. Lo ha detto lei, come se li avesse voluti scrivere a caratteri cubitali: «Abbiamo bisogno di UN GRANDE CAMBIAMENTO STRUTTURALE». E, per confutare chiunque pensi che una riforma “a caratteri cubitali” sia chiedere troppo a questa America, ha fatto notare che già in passato UN GRANDE CAMBIAMENTO STRUTTURALE è stato apprezzato dai cittadini, come nel caso delle politiche del New Deal di Frances Perkins. Ha così potuto evocare, in ampiezza, la storia delle riforme radicali americane, dall’abolizione della schiavitù alla crescita dei sindacati fino al voto per le donne, il New Deal, la rivoluzione dei diritti civili, il movimento per i diritti Lgbtq e oltre – tutto questo per dimostrare che, a ripetizione, gli americani accolgono sempre volentieri la possibilità di diventare un po’ più democratici. Avrebbe anche potuto allargare il quadro e renderlo più potente, credo, includendo anche George Washington, la cui statua campeggia sull’Arco e domina la piazza intera. Washington, che è il padre del Paese perché guidò una rivoluzione – cosa che lo fa diventare, di conseguenza, anche padre delle riforme radicali. Non è male avere, alle origini di una nazione, una rivoluzione.

Ero contento, insomma, di questa lezione di storia. E di nuovo, ho subito temuto che, dopo otto anni di Obama, molti elettori abbiano deciso di passare a Trump non perché Obama fosse nero ma, bensì, perché nel profondo del suo cuore, era un professore.

Una cosa strana del discorso della Warren è stata la totale assenza di riferimenti alla politica estera. Tranne che nella sua promessa, come parte di un piano anti-corruzione, di far finire l’abitudine tutta americana di conferire il titolo di ambasciatore ai grandi donatori delle campagne elettorali. Forse che non ha grandi idee sulla politica estera? Certo che sì, e le ha presentate sul magazine Foreign Affairs. Vanno in una direzione e pure nell’altra – vuole affermare gli ideali americani nel mondo e, di nuovo, propende per un ritiro dell’America dall’affermazione dei suoi ideali. A Washington Square ho temuto che, pur di venire incontro al quel genere di pubblico che uno si aspetta dalla NYU, enfatizzasse il ritiro e non l’affermazione. E invece non ha detto proprio niente. Una cosa che lascia perplessi. Tra la folla, però, giravano a volantinare alcuni rappresentanti dei Socialisti Democratici d’America, che distribuivano volantini che dicevano: “No alla guerra, No alle sanzioni contro l’Iran”, e denunciavano apertamente Elizabeth Warren per aver votato non solo in favore del budget per la Difesa, ma in favore delle sanzioni. Cosa che me la ha fatta amare di più.

Perlopiù, mi sono ritrovato a riflettere sul fatto che, nonostante tutto, l’America ha sempre in sé qualcosa di fantastico. Sarà stato sentire Aretha Franklin e Johnny Cash e the Temptations. O sarà stata Washington Square e la sua statua di Giuseppe Garibaldi, che fu eretta come espressione dello spirito americano di solidarietà, ora ampiamente ridotto, nei confronti dei movimenti democratici in altre parti del mondo. O sarà stata la lezione della professoressa Warren sui sindacalisti del 1911 e sulle riforme di Frances Perkins. O forse è stata tutta la situazione in generale – l’architettura della città, le statue del XIX secolo dal tema rivoluzionario, l’evocazione delle tradizioni radicali, e il buon umore della folla, e la donna vicina a me che faceva la volontaria e che odia Donald Trump, e le persone che, alla fine del discorso, hanno cominciato a danzare.

English edition su Tablet magazine, “Elizabeth Warren in Washington Square

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