Ecco perché il referendum elettorale di Salvini è fallimentare e incostituzionale

Stefano Ceccanti (Pd) spiega perché la proposta leghista di legge elettorale, presentata da 5 regioni di centrodestra, rischia di produrre storture politiche. Ma, in ogni caso, la sentenza di inammissibilità della Corte è scontata

VINCENZO PINTO / AFP

Matteo Salvini sulle orme di Roberto Carlino. Il sogno sembra ora finalmente diventato una solida realtà. Cinque Regioni guidate dal centrodestra (Lombardia, Veneto, Sardegna, Friuli e Piemonte) hanno approvato la richiesta leghista, deliberando una mozione per chiedere un referendum sulla legge elettorale. Entro il 30 settembre verrà presentato il quesito; la questione poi passerà ai giudici della Cassazione e della Corte costituzionale che decideranno sull’ammissibilità del referendum. Dagli annunci dell’ex ministro dell’Interno sembrerebbe tutto pronto. Il tono trionfalistico con cui Salvini annuncia che «sarà offerta a 60 milioni di italiani la possibilità di scegliersi una legge elettorale seria, moderna ed efficiente» dice già tutto. Eppure, c’è ancora tanta strada da fare. Altro che solida realtà, lo stesso Salvini sa bene che il referendum potrebbe essere soltanto un semplice sogno impossibile da raggiungere. Infatti ci sono alte probabilità che gli Italiani non arrivino mai ad esprimersi sulla futura legge elettorale.

Secondo la sua giurisprudenza, difficilmente la Corte potrebbe far passare un quesito referendario basato su un futuro ipotetico. Le leggi elettorali non si costruiscono con i se e con i ma

«Sono tantissimi i dubbi relativi al referendum proposto da Salvini, la possibilità che la Corte lo dichiari inammissibile è altamente probabile» dice a Linkiesta il professor Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato del PD. Il tentativo dei leghisti potrebbe così essere solo un’intemerata senza successo. La ragione? Secondo il professore «il disegno prospettato rischierebbe di lasciare il Paese senza una legge elettorale accettabile e soprattutto valida da subito». Infatti, «se dovesse passare il principio maggioritario il Paese avrebbe bisogno da subito di 630 collegi per la Camera e 315 per il Senato. Ma al momento ce ne sarebbero solo un terzo». E i restanti? «I proponenti hanno aggiunto da poco una delega al governo per procedere entro un termine di 60 giorni, ma la delega è una facoltà a procedere, non certo un obbligo. Quindi la richiesta di referendum parte con la promessa di un eventuale disegno successivo dei collegi, non con una certezza». Secondo la sua giurisprudenza dunque, difficilmente la Corte potrebbe far passare un quesito basato su un futuro ipotetico. Le leggi elettorali non si costruiscono con i se e con i ma.

Eppure non mancano i riferimenti storici ai quali si può rifare il referendum leghista. Gli Italiani hanno già votato sulla legge elettorale. Nel 1993 come nel 1999 Mariotto Segni chiamò il popolo alle urne per eliminare la parte proporzionale del sistema di voto. Momenti storici che hanno segnato una stagione politica. E non mancano anche altri casi, come i quesiti proposti dal radicale Marco Pannella, a cui Roberto Calderoli ha dichiarato esplicitamente di rifarsi, che però furono meno fortunati. Ma tra ieri e oggi ci sono molte differenze. «Nel 1993 i collegi c’erano già, il referendum cambiò soltanto la loro natura passando da proporzionali a maggioritari. Nel 1999 invece si chiedeva di eliminare la quota proporzionale, ma i seggi restanti sarebbero stati assegnati ai migliori dei non eletti in collegi che anche lì già c’erano. Qui si tratta di un vero e proprio salto nel buio».

Una legge elettorale maggioritaria garantirebbe solo un potere di ricatto dei partitini altissimo, perché potrebbero presentarsi per il solo gusto di far perdere quelli più grandi

Il progetto salviniano però è chiaro. Una legge elettorale maggioritaria garantirebbe un successo chiaro a chi dovesse vincere le elezioni, secondo un mero calcolo opportunistico. Infatti, i sondaggi odierni garantirebbero alla coalizione a guida leghista una vittoria a mani basse nei collegi ai danni dei Democratici e dei 5 Stelle. Ma non è così facile come sembra. «Non è detto che una legge elettorale maggioritaria fatta in nome della governabilità possa far uscire un chiaro vincitore la sera delle elezioni. Potrebbe non esserci oppure potrebbe vincere chi ha preso più voti. Si rischia addirittura l’effetto opposto, cioè che ci sia un vincitore eccessivo che prenda una quantità spropositata di seggi con pochi voti». Una maionese impazzita che rischia di frammentare ancora di più il quadro politico. «Collegi a turno unico, se innestati in un sistema già frammentato, obbligheranno le coalizioni a suddividere i collegi tra tutte le forze, anche quelle più piccole. Una legge elettorale maggioritaria garantirebbe solo un potere di ricatto dei partitini altissimo, perché potrebbero presentarsi per il solo gusto di far perdere quelli più grandi». La soluzione quindi? «Un sistema proporzionale con premio a doppio turno nazionale garantirebbe il giusto equilibrio al sistema, evitando inutili improvvisazioni». Una riforma parlamentare del sistema elettorale toglierebbe da subito lo spazio al progetto leghista, prima che la Corte si pronunci tra qualche mese. Dove l’esito sembra scontato. «La Corte Costituzionale decide se il quesito rispetta i limiti della Costituzione. Lì non ci sarà scampo».

X