Nella prima parte di questo scritto si è osservato come Pd e 5S abbiano trovato un’intesa nel programma di governo inserendo – tra gli altri punti – la “definizione di una organica normativa che persegua la lotta al traffico illegale di persone e all’immigrazione clandestina (…). La disciplina in materia di sicurezza dovrà essere rivisitata, alla luce delle recenti osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica”. Ci si è posti, quindi, due domande: quali disposizioni in tema di immigrazione il Capo dello Stato abbia chiesto di modificare; e se oggi manchi una normativa in tema di traffico di migranti, sì che sia necessario elaborarne una, come previsto nell’accordo per il nuovo esecutivo.
Nell’articolo precedente si è trattato della prima legge Sicurezza, spiegando che per essa Mattarella non ha indicato specificamente disposizioni da cambiare, nonostante i punti sui quali intervenire siano molti e importanti. Si è poi anticipato che, riguardo alla legge bis, il Presidente ha rilevato una sola norma da rivedere in tema di immigrazione; e che una disciplina tesa ad accertare il traffico illegale di persone già esiste, ma il governo si è posto l’obiettivo di definirne una, come se non ci fosse. In questo secondo articolo si spiegheranno tali profili.
Con la legge Sicurezza bis, la sanzione prescritta per le navi con a bordo i migranti è di entità così elevata da configurarsi come sostanzialmente penale
Con riguardo al primo punto, cioè alla “rivisitazione” della legge Sicurezza bis in base alle “osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica”, in materia di immigrazione quest’ultimo ha solo segnalato che la sanzione prescritta è di entità così elevata da configurarsi come sostanzialmente penale, ma applicata da un’autorità amministrativa e senza che siano precisati criteri per la sua quantificazione.
Pertanto, la relativa norma andrebbe modificata. Il Capo dello Stato ha anche rammentato il rispetto degli “obblighi internazionali”, citati pure nella legge, circa il “soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo”: evidentemente, egli ha inteso ribadire il dovere di salvataggio previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Montego Bay), nonché dalla Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (SOLAS) e dalla Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare (SAR), così riaffermando che la tutela della vita umana prevale su qualunque regolamentazione, misura politica o decisione amministrativa tesa a fini diversi.
Il transito o la sosta nel mare territoriale è stato finora esercitato senza rispettare il dovere di salvataggio previsto dalle norme internazionali
Purtroppo, come i fatti hanno dimostrato, il potere del ministro dell’Interno – di concerto con quelli della Difesa e delle Infrastrutture – di vietare l’ingresso, il transito o la sosta nel mare territoriale è stato finora esercitato in modo tale da disattendere il suddetto dovere di soccorso, facendo automaticamente prevalere su quest’ultimo la tutela delle acque nazionali da navi con stranieri irregolari a bordo: ciò in quanto la loro entrata sarebbe “non inoffensiva” (art. 19, c. 2, Conv. Montego Bay) o comunque metterebbe a rischio “ordine e sicurezza pubblica”.
Questo è potuto accadere in base a quella sorta di presunzione di colpevolezza su cui si basa la legge Salvini bis e della quale si è scritto sin dall’inizio: in forza di essa, il precedente ministro dell’Interno ha reputato che ogni nave con naufraghi senza permesso di soggiorno agisse nell’ambito del preventivato e intenzionale disegno teso a favorirne l’ingresso illegale nel Paese, e che pertanto ciò andasse vietato.
Il governo afferma che serve definire una organica normativa di contrasto al traffico illegale di persone e all’immigrazione clandestina. Ma già esiste
Quanto al secondo punto, nell’accordo di governo si afferma che serve definire “una organica normativa” di contrasto al traffico illegale di persone e all’immigrazione clandestina. Eppure, come accennato, una normativa in materia già esiste, completa di disposizioni attuative. Ed essa si fonda non sulla discutibile presunzione di colpevolezza sopra esposta, ma su verifiche concrete.
Infatti, il Testo Unico Immigrazione (art. 11, c. 1) oltre a demandare il controllo delle frontiere al Ministro dell’Interno e a quello degli Affari Esteri e ad affidarne al primo il coordinamento (art. 11, comma 1-bis), disciplina (art. 12) l’accertamento dell’ipotesi di traffico di migranti sia in acque territoriali sia al di fuori di esse. Nel primo caso (art. 12, c. 9), la nave italiana in servizio di polizia può fermare l’imbarcazione sospetta, ispezionarla e, se rinviene elementi che confermino il traffico di migranti, sequestrarla e condurla in porto. Nel secondo caso (art. 12, c. 9-quater), i medesimi poteri spettano sia alle navi della Marina militare che a quelle in servizio di polizia, qualunque sia la bandiera dell’imbarcazione sospetta.
Un decreto interministeriale (14 luglio 2003) regola modalità di intervento e raccordo tra navi militari e navi in servizio di polizia. E un Accordo tecnico operativo (2004) tra Polizia di Stato, Marina militare, Guardia di finanza e Comando delle capitanerie di porto per gli interventi connessi al fenomeno dell’immigrazione clandestina via mare stabilisce le procedure da seguire in caso di rilevazioni di natanti sospetti.
Il ministro dell’Interno ha preferito tenere al largo ogni nave con stranieri irregolari, facendo credere che il suo potere di divieto fosse uno strumento di contrasto ai trafficanti
Perché, in presenza di disposizioni puntuali, il ministro dell’Interno del precedente governo non le ha applicate? Forse perché, in caso di evidenze di reato, l’imbarcazione andrebbe condotta in porto per il seguito giudiziario, facendo scendere le persone a bordo: ciò che il ministro non voleva. Pertanto, egli ha preferito tenere al largo ogni nave con stranieri irregolari e così evitare di perseguire gli eventuali trafficanti: tuttavia – nel mentre – faceva scenograficamente credere l’esatto opposto, e cioè che il suo potere di divieto fosse uno strumento di contrasto ai trafficanti stessi. Un vero e proprio paradosso. Ma è un paradosso di cui evidentemente la gente non si è resa conto, dato che una gran parte di italiani non vuole che la normativa sulla sicurezza sia modificata.
Dunque, il potere di divieto spettante al ministro dell’Interno ai sensi della seconda legge Sicurezza verrà abolito dal nuovo governo? La sua eliminazione non è stata richiesta dal Presidente della Repubblica, come detto. Di fatto, basterebbe che tale potere non fosse esercitato, e resterebbe lettera morta. Tuttavia, finché esso sarà vigente, potrà essere usato da qualunque ministro dell’Interno. Si resta in attesa di valutare le determinazioni del nuovo esecutivo: con l’auspicio che sulle considerazioni in punto di diritto – sopra svolte – non prevalgano quelle di opportunità politica, come ultimamente sta sempre più accadendo.