Non ci sarà nemmeno bisogno degli hacker russi o dei formidabili servigi psicometrici di Cambridge Analytica: le prossime elezioni americane, europee, italiane, tutte quante, potranno essere comodamente manipolate in modo palese e legale dai quartier generali dei partiti e dei candidati, dalle “bestie” e dalle società di web marketing, grazie a una decisione di Facebook che sta già provocando un ulteriore indebolimento di quel che resta del dibattito pubblico americano.
Tutto nasce da una bizzarra policy di Facebook che da un lato, finalmente, si impegna a limitare il flusso di disinformazione che scorre sulla sua piattaforma, chiudendo le pagine che diffondono fake news, ma dall’altro sceglie in nome del «free speech» di non applicare alcun filtro alla propaganda politica. Cioè, su Facebook i politici sono liberi di raccontare balle a piacimento e di pagare per sfruttare l’algoritmo in modo che il messaggio arrivi esattamente alle persone più influenzabili senza che nessuno possa censurarli. Tombola.
Sta già succedendo, in queste ore. La campagna Trump spende un milione di dollari a settimana in pubblicità Facebook concentrata esclusivamente sul tema impeachment, diffondendo bufale enormi e teorie cospirative grottesche con l’obiettivo di sollevare fumo intorno all’azione del Congresso e della magistratura, che adesso indaga anche sul suo avvocato Rudy Giuliani, e di manipolare l’opinione pubblica fornendo una narrazione “alternativa”, cioè falsa, degli eventi.
Un milione di dollari la settimana per raggiungere il numero più alto, e preciso, di utenti Facebook è una cifra considerevole, anche perché la fabbrica dei troll di San Pietroburgo per provare a indirizzare le elezioni a favore di Trump nel 2016 spese un milione al mese, non alla settimana. Ma il punto è che sono passati tre anni da allora e i rischi per i processi democratici occidentali sono aumentati non diminuiti.
Una bizzarra policy di Facebook che da un lato, finalmente, si impegna a limitare il flusso di disinformazione che scorre sulla sua piattaforma, chiudendo le pagine che diffondono fake news, ma dall’altro sceglie in nome del «free speech» di non applicare alcun filtro alla propaganda politica
Ora il lavoro sporco potrà farlo direttamente Trump, o chiunque altro in America o in Europa, senza bisogno dell’aiutino esterno degli agenti del caos globale.
Joe Biden e altri hanno chiesto a Facebook di rimuovere alcuni di quei messaggi trumpiani a pagamento, in quanto visibilmente falsi, ma Facebook è irremovibile perché non è suo compito quello di censurare il dibattito politico.
La senatrice Elizabeth Warren, definita da Mark Zuckerberg «una minaccia esistenziale per Facebook», ha pagato Facebook per diffondere la notizia falsa di un sostegno formale di Zuckerberg a Trump, provando a scuotere il colosso della Silicon Valley dalla pretesa di essere una piattaforma neutra non responsabile dei contenuti che veicola. La notizia dell’appoggio di Zuckerberg a Trump è chiaramente una bugia, ma la scelta di Facebook di accettare sul suo network anche le pubblicità politiche chiaramente false è, di fatto, un endorsement della filosofia trumpista.
La situazione è così grave che se Zuckerberg decidesse di penalizzare Warren o qualcun altro, e magari di favorire un suo candidato, potrebbe liberamente modificare l’algoritmo di Facebook e far sparire gli uni dal dibattito politico e amplificare la voce dell’altro. Per fortuna, Zuckerberg non ha nessuna intenzione di manipolare le elezioni, perché non ha fondato Facebook per questo e perché non rientra nel suo modello di business. Non è cattivo, insomma, ma è arrivato il momento di dimostrarlo.