Il finanziamento pubblico dei partiti è utile e possibile, basta fare come la Germania

Un convegno dell’Università Cattolica ha lanciato una serie di proposte sul sistema di contribuzione pubblica dei movimenti politici, abolito nel 2013. Il momento sembra essere favorevole a un ripensamento, ma serve la volontà politica

Andreas SOLARO / AFP

Tante, troppe riforme. Sempre più stringenti, sempre più cattive. In tutta Europa, salvo eccezioni, il finanziamento ai partiti è previsto ed è la normalità in Paesi come Francia, Germania o Regno Unito. Quindi niente elemosine o rincorse ai grandi donatori che spesso possono condizionarne la vita o addirittura arrivare a scalarli. La differenza di vedute pone interessanti domande. È possibile un ritorno in Italia al finanziamento pubblico dei partiti?

Senza finanziamenti a rimetterci è soprattutto la vita politica del Paese, con territori sguarniti di un presidio politico che spesso costa tanto, forse troppo

Il convegno “Rinforzare la democrazia e vigilare sul finanziamento dei partiti”, promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, offre alcuni interessanti spunti. Oggi in Italia la fiducia verso la classe politica e i partiti è ai minimi storici, ma senza quest’ultimi non sarebbe possibile per i cittadini partecipare alla vita democratica del Paese. Lo stesso articolo 49 della Costituzione lo dice chiaramente quando afferma che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. I padri Costituenti non prevedevano però forme di finanziamento per uno strumento tanto importante per la libera espressione popolare. Un vuoto che poi la storia ha pensato bene di riempire. A modo suo. Previsti dalla legge Piccoli del 1974, i finanziamenti sono poi stati aboliti diverse volte tramite i referendum e tornati sempre con diverso nome. L’ultima, decisiva, modifica risale al governo Letta che con il decreto-legge n.149 del 28 dicembre 2013 ha sancito l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, prevedendo solo forme private alternative, anche agevolate. Il 2 per mille e la detraibilità delle erogazioni liberali al 26% ne sono un esempio. Le elezioni del 4 marzo 2018 sono state le prime senza alcun rimborso statale. Tutto bene quindi? Non esattamente. A rimetterci è soprattutto la vita politica del Paese, con territori sguarniti di un presidio politico che spesso costa tanto, forse troppo.

Sebbene siano sempre più vuote, le casse dei partiti continuano a ricevere denaro. Che però viene puntualmente assorbito dal centro politico a scapito delle periferie

Sebbene siano sempre più vuote, le casse dei partiti continuano a ricevere denaro. Che però viene puntualmente assorbito dal centro politico a scapito delle periferie. «Su questo il caso italiano è un po’ un’anomalia rispetto al resto d’Europa», afferma il professor Mario Nicoletti dell’Università di Trento. Inutile nascondersi, le vere casse dei partiti sono le fondazioni. La “spazzacorrotti”, promossa dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, chiede di rendicontare le loro spese, ma tanti sono ancora i dubbi. «La legge voluta dal ministro Bonafede non chiarisce appieno come si vogliano accertare i collegamenti tra le fondazioni e i partiti», chiarisce l’avvocato della Camera dei deputati Gaetano Pelella.
Qual è stato il risultato provocato dall’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti? Vincenzo Smaldore di OpenPolis non ha dubbi: «Oggi i movimenti politici sono più scalabili e si dimostrano solo concentrati sull’acquisizione dei dati. Così succede che alla fine sono i think tank a svolgere attività politica al posto dei partiti». La crisi della rappresentanza politica, forse, si spiega anche per questo.

In Europa la storia è differente: qui sono previste diverse forme di finanziamento. «In Germania per esempio ci sono forme di finanziamento pubblico che sono pari a quelli privati. Questo incentiva i partiti a radicarsi sul territorio e a essere onesti, perché rendicontarne di meno vuol dire riceverne meno dallo Stato. In Olanda invece i movimenti politici ricevono finanziamenti proporzionalmente al numero di iscritti» osserva Nicoletti. Due idee potenzialmente esportabili, ovviamente prendendo le giuste contromisure. Come raccontato da Jacopo Leone e Martin Walecki dell’OSCE, «per lasciare spazio a partiti e associazioni basterebbe operare come già si fa nel resto d’Europa. Servono i giusti controlli, evitando di essere stringenti; regolamentazioni specifiche, anche per le associazioni; e infine un’istituzione libera e indipendente che possa controllare i finanziamenti». L’Italia al momento sembra essere distante da tutto questo. La contemporanea ipotesi di riforma del sistema elettorale disegna un momento politico che potrebbe anche essere favorevole a un ripensamento. L’idea tedesca di corrispondere denaro pubblico ai partiti valutando le donazioni ricevute dai privati potrebbe essere il giusto modo per rimettere la politica sul territorio anche in Italia. Forse vale la pena di provarci.

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