Hong Kong, la Cina cambia il governatore, ma tutto continuerà come prima, peggio di prima

Secondo il Financial Times Carrie Lam sarebbe pronta a salutare l'ex colonia britannica per stabilizzare la situazione. L'avvicendamento non fermerà i manifestanti, come sostiene Isaac Cheng di Demosisto. Lo scontro proseguirà, dunque, ma il vincitore sembra annunciato

MOHD RASFAN / AFP

Una sostituzione che sembra tanto un palliativo. Carrie Lam sarebbe pronta a salutare Hong Kong, secondo il Financial Times. Il retroscena del quotidiano britannico svela come il piano di Pechino sia quello di rimpiazzare la governatrice uscente della città ribelle con un’altra figura meno divisiva e senza un passato di errori. Ovviamente non subito, perché altrimenti l’avvicendamento sarebbe percepito come un segnale di debolezza delle autorità cinesi. L’orizzonte temporale prescelto sarebbe invece marzo 2020. Il piano, che deve ancora essere sottoposto all’approvazione di Xi Jimping, prevederebbe quindi una sorta di governatore “a tempo”, che porti Hong Kong a elezioni nel 2022. Nel frattempo, Pechino spera che si calmino le acque, anche se la storia delle ultime settimane, fatta di contestazioni sempre più violente seguite da brutali repressioni, non sembra essere molto differente dal passato. Proprio la forza della polizia locale nel sedare ogni possibile ribellione mostra come il piano cinese non sembri destinato a cambiare. Per Pechino Hong Kong deve diventare parte della Cina. Altro che aspettare il 2047. Altro che “un Paese, due sistemi”, come teorizzato nel 1980 da Deng Xiaoping.

Per il Financial Times sarebbero due i papabili sostituti di Carrie Lam, due grigi funzionari senza apparenti legami col governo ma comunque fedeli alla linea.

Per il Financial Times sarebbero due i papabili sostituti di Carrie Lam, due grigi funzionari senza apparenti legami col governo ma comunque fedeli alla linea. Il primo è Norman Chan, 65 anni, capo dell’Autorità monetaria di Hong Kong dal 2009 fino al 2019. Un uomo di apparato con incarichi sia politici sia economici. Non inganni la sua figura prevalentemente tecnica: durante la rivoluzione degli ombrelli del 2014 Chan definì le rivolte «un problema per le finanze di Hong Kong», augurandosi «di veder presto cessare le violenze contro lo stato di diritto». Il secondo contendente invece è Henry Tang, 67 anni, una carriera soprattutto politica all’interno dell’amministrazione dell’ex colonia britannica. Un cursus honorum che annovera sia sconfitte, come l’elezione del 2012 a governatore persa a favore di Leung Chun-Ying, sia scandali, come il caso Harbour fest, un programma di eventi e spettacoli che doveva rilanciare l’economia della città nel 2003 dopo la SARS, e costato più del previsto. Su entrambi i personaggi il commento di Isaac Cheng, vicepresidente di Demosisto, gruppo che sostiene l’autodeterminazione dell’ex colonia britannica, è lapidario: «Due personaggi di regime inadatti a guidare Hong Kong»

«Non basta cambiare le persone per risolvere improvvisamente la situazione. La protesta vuole cambiare il quadro politico di Hong Kong, non solo le facce»

Un giudizio tranchant, ma che evidenzia un dato di fondo molto importante. «Non basta cambiare le persone per risolvere improvvisamente la situazione. La protesta vuole cambiare il quadro politico di Hong Kong, non solo le facce». Su Carrie Lam il giudizio è altrettanto netto: «è lei la principale responsabile della crisi nella città, ma chi pensa che basti cambiare lei per far diventare Hong Kong cinese si sbaglia». Dopo mesi di polemiche e pressioni la governatrice dell’ex colonia britannica ha finalmente ritirato la legge contro l’estradizione che aveva originato i disordini. Può bastare? Ovviamente no. «La sospensione della legge è importante ma ora come ora non può essere sufficiente se ci sono ancora disordini, arresti e violenze per strada». Ormai la protesta si è spostata su altri lidi. La disputa è diventata quasi ideologica. A prescindere dalle dimissioni della governatrice che prima o poi arriveranno, come successe nel 2005 con il suo predecessore Tung Chee-hwa, reo di aver emanato leggi sulla sicurezza nazionale a favore di Pechino e accompagnato alla porta per “motivi di salute”, i disordini non si fermeranno qui. La Cina però non si farà trovare impreparata. Come assicura il Japan Times “Pechino ha pronto un piano su Hong Kong per ogni possibile evenienza”. E alla fine otterrà ciò che vuole.

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