Voci silenziateDa Ilham Tohti in poi, la ricca tradizione cinese nel perseguitare le sue menti migliori

L’uiguro, che ha vinto il premio Sakharov nel 2019, è solo l’ultimo caso. Già in passato numerosi dissidenti del regime comunista hanno subito la stessa sorte: screditati in patria, premiati in Occidente

FREDERIC J. BROWN / AFP

Ilham Tohti, Liu Xiaobo, Gao Xingjan, Ali Weiwei e Hu Jia. Un economista, due attivisti, un’intellettuale e uno scrittore. Cos’hanno in comune? Sono tutti perseguitati dal regime cinese. E tutti hanno ricevuto premi internazionali nei loro rispettivi campi che ne qualificano il valore e la capacità. Le loro storie raccontano cosa vuol dire non essere allineati con Pechino. Le loro scelte di vita li hanno condotti verso un’esistenza certamente più difficile dove non mancano privazioni, sofferenze e dolori. Eppure, nelle loro azioni, rimane percepibile un insito senso di giustezza, non solo verso coloro che non avevano voce per denunciare ma soprattutto verso loro stessi e la loro coscienza.

L’ultimo in ordine di tempo è l’uiguro Tohti che ha ricevuto il premio Sakharov, assegnato a chi ha combattuto per la libertà dei diritti umani, da parte del Parlamento Europeo. Peccato però che il prossimo 18 dicembre non potrà andare a ritirarlo. Tohti infatti è stato condannato all’ergastolo da parte di Pechino per il suo attivismo nei confronti degli uiguri. La piccola minoranza situata nella regione dello Xinjiang, di fede musulmana, è sistematicamente perseguitata da parte delle autorità cinesi. Detenzione, rieducazione forzata sono all’ordine del giorno in una regione che sistematicamente si pone in conflitto con l’autorità centrale che a sua volta risponde in maniera violenta, anzi violentissima.

I casi di Liu Xiaobo e Gao Xingjian mostrano come la repressione del governo cinese possa essere crudele e definitiva, punendoti anche dopo la morte. L’esilio è l’unica soluzione

«Chiediamo la liberazione di Tohti», ha invocato il presidente dell’Europarlamento David Sassoli. Difficile però che la Cina lo ascolti. Un po’ come è successo con Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace nel 2010. Come per il vincitore del premio Sakharov, anche il critico letterario non poté ritirare il premio perché in prigione per “incitamento alla sovversione del potere dello Stato”. Ne uscirà solo sette anni più tardi, ormai malato terminale, e morirà pochi mesi più tardi. Xiaobo fu fautore della Charta 08, che chiedeva libertà, diritti umani, uguaglianza e democrazia. Un appello. firmato da oltre 300 intellettuali e oltre ottomila cittadini, ovviamente respinto in blocco da Pechino che non fece attendere la sua risposta: migliaia di arresti e sparizioni per zittire il dissenso. Un copione molto simile fu replicato anche in occasione della vittoria del Nobel per la pace di Xiaobo. Il regime, guidato allora da Hu Jintao, reagì in maniera quasi isterica richiamando l’ambasciatore cinese da Oslo e mettendo ai domiciliari la moglie Liu Xia. Soltanto ad agosto 2018, grazie alla silente opera della diplomazia tedesca, la poetessa ha avuto il permesso di lasciare il paese e stabilirsi a Berlino, dove oggi vive una florida comunità di cinesi espatriati.

A Parigi invece risiede un altro famoso intellettuale dissidente, Gao Xingjian, Premio Nobel per la letteratura nel 2000. Condannato alla rieducazione durante la rivoluzione culturale del 1968, Gao diventa drammaturgo del Teatro dell’arte del popolo a Pechino ma le dure critiche subite dalle sue opere teatrali lo costringono a trasferirsi a Parigi. È rimasta celebre la sua opera La fuga che ha denunciato i fatti di piazza Tien’anmen del 1989, con conseguente ostilità dell’apparato cinese. Le idee dell’artista cinese sono sempre state quelle di descrivere l’uomo andando oltre le ingerenze della società e della politica. Una condanna di tutte le ideologie e di tutti gli ismi che lo hanno costretto a un esilio oltreconfine praticamente definitivo. La cittadinanza francese lo ha salvato da ogni possibile ritorsione cinese.

Ali Weiwei e Hu Jia sono un esempio di come il riconoscimento internazionale sia una vera e propria attestazione. A chi lotta per la libertà, arrivando a sacrificare anche la propria vita

La longa manus del governo non ha risparmiato invece Ali Weiwei, uno degli artisti cinesi più conosciuti. Figlio di un recluso, ha duramente criticato le autorità di Pechino in più occasioni, come nel caso del terremoto del Sichuan del 2008. Una voce dissidente che le autorità comuniste hanno a stento taciuto. Come nel 2011, quando sparì completamente, suscitando lo sconcerto della comunità artistica internazionale e venne scarcerato dopo alcuni mesi su pressioni dell’Occidente. Oggi Ali Weiwei vive in Europa, coniugando la sua vena artistica con la consueta verve polemica contro il regime.

Una storia molto simile è quella di Hu Jia, Premio Sakharov nel 2008. Proveniente da una famiglia dissidente, Hu Jia ha duramente criticato il governo cinese in materia sia sanitaria sia ambientale. Nel 2007 il dibattito in videoconferenza con il Parlamento Europeo sulla situazione dei diritti umani in Cina alla vigilia delle Olimpiadi ha provocato la dura risposta del governo. Infatti, pochi giorni più tardi Hu Jia è stato condannato a tre anni e mezzo per aver “minato lo Stato cinese e le fondamenta del sistema politico socialista” ed è poi regolarmente uscito nel 2011. Anche in questo caso il riconoscimento è stato una vera e propria attestazione. A chi lotta per la libertà, arrivando a sacrificare anche la propria vita.

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