Lo scontro era cominciato da tempo, almeno da quando la Disney aveva annunciato di non voler rinnovare il contratto con Netflix del 2016. Avrebbe creato una sua piattaforma, sulla quale confluiscono e continueranno a confluire i suoi titoli. Disney+, questo il nome, adesso è in arrivo. Partirà il 12 novembre negli Stati Uniti (in Italia arriverà più tardi, non si sa ancora bene quando) e lunedì 14 ha lanciato un elenco della sua offerta su un lunghissimo thread su Twitter. Gli spettatori potranno vedere (o meglio, rivedere) i classiconi come Bambi, Biancaneve, Pinocchio. Ma non solo: ci sono anche 7.500 puntate di vecchi show targati Disney, i film della Marvel, i documentari del National Geographic, 30 stagioni dei Simpson e tutto l’armamentario dei grandi successi Disney-Pixar e Lucasfilm.
Di fronte a questa mossa, Netflix si era preparata per tempo. Sia per compensare l’abbandono dei prodotti dineyani dalla sua piattaforma, sia per fare fronte all’arrivo della nuova corazzata. Il modo migliore è stato assumere nuovi creativi ed executive, provenienti proprio dalla Disney.
Si parte dall’autrice e produttrice Chris Nee, arrivata nel dicembre scorso, e si va all’animatore, sceneggiatore e doppiatore Alex Hirsch (che ha creato Gravity Falls, uno dei maggiori successi di Disney Channel). E ancora: l’executive Naketha Mattocks. Su tutti svetta il regista e produttore Kenny Ortega, deus ex machina dei meccanismi creativi disneyani. L’obiettivo di Netflix è produrre nuovi film e serie pensate per le famiglie, la stessa nicchia di mercato del nuovo rivale (e che diventerà un luogo affollato, visto che dal 1 novembre ci sarà anche Apple Plus con una serie su Snoopy fatta in collaborazione con la Nasa). Il piano dell’offerta è già in cantiere e sono previste già cinque serie tv di cartoni animati, tra cui Gheehappy (prevista per il 2021) ispirate alle divinità indiane. L’intrattenimento per i più piccoli, su cui ha investito milioni di dollari e per cui continua a sviluppare nuovi progetti e partnership, ha il vantaggio di garantire entrate più regolari, considerati i mezzi finanziari delle famiglie, in genere più solidi. Soprattutto, offre la non trascurabile possibilità di moltiplicare gli incassi con il merchandising.
In più, in questa nuova corsa all’oro dello streaming, emerge, tra i due giganti, lo scontro tra vecchio e nuovo. Di fronte alla fucina di Netflix, che per potenziarsi ha dovuto saccheggiare il rivale delle sue menti più brillanti, Disney cala l’asso dell’archivio.
È, vista l’enorme quantità di film, show e serie tv a disposizione, il suo maggiore vantaggio competitivo. A costo zero, garantisce entrate regolari e costanti. Una mossa che funziona perché (e questo è l’aspetto più particolare) gioca sul fattore nostalgia, che fa sempre più presa sul pubblico. Ai suoi ever-green, cioè i classici film che si tramandano di generazione in generazione, aggiunge vecchi prodotti che, e questo è motivo di riflessione, vengono riguardati e riguardati per la sola ragione che scatenano ricordi del passato. Hanno fatto parte dell’infanzia e dell’adolescenza dello spettatore, un aspetto che in diversi casi vale più della loro qualità intrinseca, ormai messa da parte in favore della «comfort zone emotiva». Si ritorna al passato, ed è una cifra importante degli ultimi tempi. A pensarci bene, la ragione del successo di film roboanti tratti dai fumetti Marvel o dalla Saga di Guerre Stellari non sembra essere molto diversa (e, non a caso, entrambi fanno parte dell’offerta Disney).
Netflix questo vantaggio non ce l’ha. Anzi, vende (a peso d’oro) le stagioni di Friends a Hbo e si impegna nel costruire nuove proposte. Il suo piano è insistere sui prodotti originali, che spera diventino classici (moderni). A queste alterna operazioni di recupero, che sono più che altro rielaborazioni, da Jurassic Park, Fast and Furious e dai classici di Roald Dahl. Nella guerra dello streaming ognuno deve combattere con le armi che ha. Cercando, sempre e comunque, di rendere contente le famiglie