Gibilterra, una nuova Irlanda del Nord. Mentre il primo ministro del Regno Unito Boris Johnson sta definendo gli ultimi dettagli per un accordo che porti la Gran Bretagna fuori dall’Europa, la piccola rocca, di proprietà britannica dal 1713, è andata al voto con due mesi d’anticipo. Motivo? Semplice prudenza. Infatti, il primo ministro Fabian Picardo ha preso questa decisione per tenersi pronto “a ogni possibile esito della Brexit”. E, vista la fine dell’accordo di Theresa May, meglio non escludere nulla. A prescindere però dall’esito delle trattative con l’Europa, nella piccolo territorio d’Oltremare britannico sanno bene che dal 1°novembre li attende un destino ignoto, come vuole la loro storia. Durante l’antichità, le Colonne d’Ercole, oggi note come Stretto di Gibilterra, erano una sorta di passaggio obbligato tra il mondo conosciuto e il vuoto. Oggi saranno una sorta di ritorno al passato, con il probabile ritorno del confine tra Spagna e Gran Bretagna. Per l’economia locale sarebbe una sciagura.
Per Gibilterra, l’unico caposaldo, in mezzo a tante incertezze, è proprio il primo ministro uscente Picardo. Leader del partito laburista socialista e al governo dal 2011 insieme ai liberali, i risultati ufficiali di queste elezioni con il 52.5%. Più staccati i socialdemocratici, partito di centrodestra, di Keith Azopardi, fermi al 25.6%, e la formazione “Insieme Gibilterra” di Marlene Hassan Nahon, che ha ottenuto il 20.6%. La Brexit ha dominato la campagna elettorale per il rinnovo del piccolo Parlamento locale, 17 seggi parlamentari in tutto. Tutti i candidati hanno avanzato le loro proposte per cercare di mantenere l’economia gibilterrina a galla, da un nuovo piano infrastrutturale fino agli incentivi fiscali alle imprese, evitando pericolose derive, come quella di far diventare Gibiliterra una sorta di “paradiso del contrabbando”. Un pericolo che anche nella vicina Spagna paventano come possibile.
Non dovrebbe sorprendere ricordare che i cittadini britannici di Gibilterra abbiano compattamente votato nel referendum del 2016 su Brexit a favore del Remain, con una percentuale bulgara del 96%
Ma non finisce qui. Sono tanti i possibili contraccolpi che potrebbe subire il piccolo stato di appena 33 mila abitanti da un’uscita britannica dall’Europa. A prescindere dall’accordo tra Boris Johnson e l’Unione Europea, è molto probabile che a Gibilterra torni presto una sorta di confine sulla Winston Churchill Avenue, la strada che collega La linea de la Concepciòn, ultimo comune spagnolo dell’Andalusia, con lo stato gibilterrino. Per i 15 mila lavoratori che ogni giorno arrivano a Gibilterra, la metà della forza lavoro del piccolo possedimento britannico, vorrebbe dire ore e ore di attesa al confine. Inoltre la Brexit ha già parzialmente cambiato il volto dell’economia locale. Basti pensare alle molte società di gioco online, che valgono il 25% del prodotto interno lordo del piccolo stato, che hanno deciso di trasferirsi, come William Hill e Bet365 trasferitesi a Malta. Come in madrepatria, i supermercati locali cominciano a svuotarsi e i produttori sono preoccupati per il possibile calo degli affari, se la Spagna decidesse di imporre dazi su alcune merci, come per esempio il vino. Non dovrebbe sorprendere ricordare che i cittadini britannici di Gibilterra abbiano compattamente votato nel referendum del 2016 su Brexit a favore del Remain, con una percentuale bulgara del 96%. Qui nessuno ha mai pensato di uscire dall’Europa. E anche per questo il primo ministro Picardo ha annunciato che, in caso di riconferma, rilancerà la richiesta di un secondo referendum che confermi in maniera definitiva l’uscita dalla Gran Bretagna dall’Europa. Difficile però che l’ottenga.
Nella battaglia di Boris Johnson per far uscire la Gran Bretagna dall’Unione Europea ci sono anche le speranze di 33 mila sudditi della Regina, che sperano di vedere la loro vita non essere sconvolta dalla Brexit.
In un simile scenario la Spagna di certo non sta a guardare. Il 10 novembre ci saranno le elezioni politiche che potrebbero portare a un nuovo governo e a nuove richieste da parte di Madrid al piccolo stato presente al suo confine meridionale. Se dovessero vincere il Partito Popolare o Vox, formazione di estrema destra, non è da escludere infatti una nuova richiesta di sovranità condivisa su Gibilterra, come già fanno Spagna e Francia con Andorra. Un’idea che incontra la netta ostilità dei locali, che già nel 2002 si espressero in un referendum contro la possibile sovranità condivisa. Loro vogliono restare britannici. «La nostra scelta è chiara, non c’è bisogno di rispondere a chi usa argomenti usati in Europa centrale alla fine degli anni ’30 invece di quelli degni del 21 ° secolo.” ha dichiarato Picardo. L’unica speranza per Gibilterra è che Londra trovi un accordo con l’UE per mantenere lo status speciale del piccolo possedimento britannico. Ne va del suo futuro e del suo destino. Nella battaglia di Boris Johnson per far uscire la Gran Bretagna dall’Unione Europea ci sono anche le speranze di 33 mila sudditi della Regina, che sperano di vedere la loro vita non essere sconvolta dalla Brexit.