MonologrammiConsidera l’aspidistra: è bella, fiorisce di nascosto. E sa tutto di te

La rubrica neopassatista e veterofuturista di Pasquale Panella

Tornerà l’aspidistra, questa pianta testimone? Questa pianta che a quel tempo (quel tempo!) era ovunque. Chi ha vissuto quel tempo? Che è quel proprio tempo, quel tempo in cui ognuna e ognuno di noi visse con una certa lucidità negli occhi (di pianto, di febbricitante attività, di spossatezza, di stizza, di rivolta), la stessa lucidità naturale delle foglie dell’aspidistra, che non vanno però lucidate, semmai nettate dalla polvere con una passata di pezzuola umida, anche salvietta di carta morbida bagnata e strizzata: e la foglia splende. Mi viene in mente questa pianta comune, questa pianta facile, questa pianta resistente. Questa pianta presente nelle piccole chiese paesane, nelle cattedrali, negli ospizi, negli ospedali, questa pianta commovente sulla quale è scivolata l’attesa delle sale d’attesa, questa pianta dei battesimi e delle morti. Questa pianta che è stata stata accanto a tutto, accanto ai matrimoni, infiocchettata di bianchi nastrini, tipicamente opacizzata oltre il vetro delle agenzie di onoranze funebri, negli studi notarili, sur banco der macellaro, nelle chiese e nei conventi, negli androni, nelle autoscuole accanto a un albero motore rinsecchito.

Si portava ai negozi inaugurati, e poi resisteva testarda per anni. Questa pianta è stata accanto a liti dalle quali fu scossa, accanto alle riconciliazioni quando una mano strinse con frenetica impellenza tra le dita una foglia prima di avviarsi a un mento, una guancia. Accanto agli amanti subendo stropicciature, pressioni di corpi ancora in piedi e sbandati da manovre scomposte e dal duplice peso. Accanto alle finestre, alle porte, ai portoni, nei saloni (i saloni!) freddini dei barbieri, in quelli tiepidi delle parrucchiere e dei parrucchieri, lungo il bordo di aiuole fresche e scure, al di là di mattoni interrati obliqui con gli angoli a sega. Nelle notti in giardini estivi queste piante attiravano la luna che, anche se piena, sulle foglie appariva a quarti. Ecco qua, l’aspidistra. Ne ha viste di cose.

Questa pianta è stata su pavimenti nobili e lucidi e sui marmittoni screziati del boom italiano, e sul mattonato e sulla nuda terra davanti a case contadine come frivola debolezza ornamentale. Fa venire in mente le nonne e le madri, fa venire in mente il tempo che non passava, immobile come un’aspidistra quando nulla accadeva, nemmeno una ventata. Pianta lenta, finché nasce una foglia come una lettera, un’epistola accartocciata, e pare che due dita da sotto la stiano porgendo. A chi? Ma alla pianta che dà a sé stessa notizia di sé. È mite e altera l’aspidistra, è vicina, è distante, sta là ma se ne sta sulle sue. È tanto comune ma non lega con altre piante né con l’arredo né con le finestre o le soglie e le ante di porte e portoni. Anche quando le sue foglie tagliate costituiscono il fondo e la corona o la cornice di composizioni floreali si vede che verdeggia di un orgoglio solitario.

È testimone, le sue foglie sono pagine di storia assorbita, non scritta. Puoi, dopo anni che l’avevi persa di vista perché quasi sparita dall’ovunque in cui era, puoi dopo anni rivederla, e ti viene in mente tutto. L’hai sempre ignorata a quel tempo, e invece no, non l’hai ignorata. Ti vengono in mente le aspidistre di una vita, le foglie si elevano come testimoni chiamate a deporre su cose che ti riguardano: ventate impulsive e avventatezze, il silenzio, sempre l’attesa, la foresta quando avevi sei anni, gambe nude che le ebbero da sfondo, e pomeriggi sia infiniti sia fuggenti, e mattinate estive d’aria fresca, e sere meditative o piene di chiacchiere, e anche notti senza cena e notti di banchetti carnali, essa sa. È una pianta che veglia.

È stata ottocentesca, anche un po’ dannunziana, un po’ lasciva, e anche un po’ timida, monastica, anzi no, monacale come un soggolo slacciato, pianta insomma di appariscente segretezza. A fine novecento s’è un po’ persa, e ancora ora. È che vogliamo sfuggire alla testimone, allo scudo di quelle foglie che assorbono ogni colpo d’occhio sul circostante, e poi rilasciano reminiscenze. Oggi crediamo d’essere noi testimoni costanti di tutto, sboccati e Pagina 3 di 4 Tornerà l’aspidistra 20/01/20, 13:12 delatori subito, anche senza sapere di che parliamo. Sì, certo, lo so che fiorisce e nasconde i suoi fiori, tant’è che si crede che nemmeno fiorisca. Sì, certo, Fiorirà l’aspidistra, Orwell, sì, gran libro, anche più dell’opere distopiche (antipaticissimo aggettivo, inutilmente frequente). Opera topica, invece, libro che ha creato molti libri seguenti e ha perfezionato opere precedenti, libro pieno di queste piante dalle foglie che sono spada e scudo, allora tutto è un urto in questo libro. Anche tra il libro e i libri, un urto ingenuo (quindi egoista) tra successo e fallimento, tra denaro e Dio, tra quattrini e non quattrini, tra la sovversione e il rispettabile languire, tra scrivere e non scrivere, tra regno infernale e servitù celeste, tra quel che è meglio: forse servire all’inferno più che regnare in cielo (cavilli giovanili). E poi il peccato: peccare contro l’aspidistra, questa pianta che comunque ti accusa, questo elemento ornamentale che ha la capacità di inquisire, condannare alla deturpazione ogni elemento sostanziale del reale (ma anche assolvere come alla fine della confessione e, da una finestra, benedire). L’aspidistra stendardo sul davanzale, segno di conquista di una vita normale ossia famigliare, per poi dormire alla sua ombra in un pomeriggio domenicale dopo l’arrosto. Pianta che rende sacra la sala da pranzo.

La questione è subirla come un’avversaria o permettersi di mantenerla, l’aspidistra. Pianta inseguitrice quando nel tuo ultimo lurido rifugio ti si presenta la vecchia affittacamere con un omaggio gentile, la pianta d’aspidistra, per rendere la camera più intima: che comica fitta al cuore. Un’aspidistra moribonda che poi muore. Però no, germoglia dal seccume, cupa, a fil di terra. È l’albero della vita, ecco, l’hai detto. “Ecco dove metteremo l’aspidistra”, disse, “alla finestra della facciata, dove la gente di fronte possa vederla”. È la fine, è l’inizio. Fin qui tutto è un miscuglio, un monologo di cose accavallate, un monologramma, appunto. Volevo nominare l’aspidistra, così, senza motivo, per la parola e basta, poi mi è venuto in mente il titolo del libro, poi leggo (su Linkiesta) che l’autore, George Orwell, è morto esattamente settanta anni fa. Coincidenze, solo coincidenze, io non c’entro niente. Cosa ci significa l’aspidistra? Non lo so, quello che vi pare. Pianta sensibile, topica, sì, elemento botanico-dialettico dal quale fare derivare un po’ ogni cosa. Tornerà l’aspidistra?

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