Una lunga dissolvenza. Il celebre dipinto del pittore norvegese Edvard Munch, L’Urlo (versione del 1910) sta scomparendo. Tutta una questione di chimica: le sue tinte sono, con il passare del tempo, sempre meno forti. In particolare, il giallo-arancio è più un avorio chiaro. E si modifica, in modo irreversibile, l’aspetto dell’opera.
È dal 2012 che, come racconta il New York Times, un gruppo di scienziati ed esperti studia l’opera. Guidati di Jennifer Mass, presidente del Scientific Analysis of Fine Art lab, analizzano il deterioramento a livello microscopico. La superficie del dipinto, come fa notare la scienziata, è frastagiata da nanocristalli e si sta danneggiando intorno alla bocca della figura, a livello del cielo e dell’acqua. Il sulfuro di cadmio giallo, utilizzato come pigmento per la sua colorazione gialla, a causa della prolungata esposizione, si è ossidato in due composti chimici bianchi, il solfato di cadmio (un sale) e il carbonato di cadmio.
Come spiega la scienziata, che è stata scelta dal Museo Munch proprio grazie ai suoi studi sul giallo cadmio (applicati sul francese Henri Matisse) e alla strumentazione di cui dispone, il problema è più ampio. Va oltre cioè i confini della cornice de L’Urlo e riguarda, almeno, il 20% dei dipinti creati tra il 1880 e il 1920. A metà, insomma, tra Impressionismo ed Espressionismo, compresi (soprattutto) i Fauves.
Perché, come si intuisce, il problema sta tutto nel materiale adottato dagli artisti dell’epoca per ottenere colorazioni più intense e d’effetto. I nuovi pigmenti sintetici, ottenuti attraverso processi industriali, venivano adottati per sperimentare nuove possiibli soluzioni cromatiche. In particolare, erano privilegiati per la loro luminosità.
Come raccontava Philip Ball in Colore, una biografia, una consistente parte della creatività di un artista e addirittura la nascista stessa di movimenti espressivi è sempre stata condizionata dalla ricchezza della tavolozza a disposizione. Valeva per i turchini (costosissimi), vale anche per l’intensità dirompente dei quadri espressionisti e, appunto, dei Fauves. Tutti colori potenti ma, purtroppo, non testati, soprattutto in fatto di durata e resistenza. Certo, nel 1888 in una lettera al fratello Teho, un coscienzioso Vincent Van Gogh – anche i suoi dipinti ne hanno risentito: i gialli diventano sempre più marroni e i viola somigliano sono sempre più blu – scrisse: “Ho appena controllato. Tutti i colori che sono diventati di moda con gli Espressionisti non sono stabili”. Perché anche i dipinti, scrisse in una altra lettera, “si scoloriscono come i fiori”.
Di fronte a questo fenomeno, rimane poco da fare. Recuperare le colorazioni originali è impossibile, applicare nuovi pigmenti per ricostruire lo stato iniziale non è praticabile. L’unica via d’uscita è una “restaurazione digitale”, affidandosi sempre di più alla realtà digitale. In futuro, prevedono, basterà usare uno smartphone: lo si avvicinerà al quadro (o a qualche codice) e comparirà sullo schermo, in corrispondenza della superficie del dipinto, il colore autentico.