Maria 2.0Lo sciopero globale delle donne cattoliche per ottenere uguaglianza nella Chiesa cattolica

Il Catholic Women Strike inizierà ufficialmente domenica 3 maggio e si protrarrà per tutto il mese tradizionalmente dedicato alla Madonna. Boicottaggio di celebrazioni e funzioni ufficiali, astensione da azioni di volontariato, stop e reindirizzamento di fondi destinati a parrocchie e diocesi

CHRISTOPHE SIMON / AFP

In occasione dell’8 marzo, Giornata internazionale dei diritti della donna, dodici organizzazioni hanno lanciato lo Sciopero globale delle donne cattoliche (Catholic Women Strike), che inizierà ufficialmente domenica 3 maggio e si protrarrà per tutto il mese tradizionalmente dedicato alla Madonna.

Lo sciopero si concreterà in una serie di manifestazioni, coordinate a livello mondiale, attraverso le quali viene richiesta una piena uguaglianza delle donne nella Chiesa cattolica: stop e reindirizzamento di fondi destinati a parrocchie e diocesi, boicottaggio di celebrazioni e funzioni ufficiali, organizzazione d’incontri di preghiera all’esterno di edifici chiesastici prima delle messe in programma, astensione da azioni di volontariato in realtà ecclesiali e dal lavoro per le donne che sono impiegate nelle stesse. Queste ultime saranno sostenute economicamente attraverso donazioni in nome del principio della mutua solidarietà evangelica.

Colore e segno unificante del suffragio femminile sarà il bianco, che sono invitate a indossare, soprattutto negli incontri comuni, quante aderiranno allo sciopero.

Per le 12 organizzazioni promotrici la piena uguaglianza delle donne nella Chiesa cattolica passa in primo luogo attraverso il ministero ordinato e il disimpegno di ruoli di governo. Ma non solo. Catholic Women Strike chiede infatti di «riformare l’insegnamento della Chiesa sulla sessualità perché esso rifletta la complessa realtà dell’esperienza vissuta, il primato della coscienza e le esigenze pastorali del popolo di Dio; trasformare l’insegnamento e la pratica della Chiesa per porre fine a tutte le oppressioni delle persone Lgbti+, delle persone nere, delle persone impoverite e di quelle marginalizzate nell’interezza della loro identità; creare strutture e processi che, basati sulla competenza di tutti i cattolici – e specialmente delle donne –, portino tutta la Chiesa a una giusta valutazione degli abusi sessuali commessi dal clero e delle coperture garantite allo stesso».

Lo sciopero globale delle donne cattoliche trae ispirazione dal movimento tedesco Maria 2.0, che, nato agli inizi del 2019 nell’Heilig-Kreuz-Kirche di Münster durante la lettura di gruppo dell’Evangelii Gaudium di Papa Francesco, celebrerà, proprio in maggio, il 1° anniversario del pubblico boicottaggio di una settimana di celebrazioni mariane (giorni 11-18). Da allora Maria 2.0 si è diffuso in tutta la Germania e ha organizzato numerose manifestazioni come la catena umana intorno alla cattedrale di Colonia il 23 settembre 2019. Esso prende nome dalla madre di Gesù, che è tradizionalmente considerata nella Chiesa come modello di donna silenziosa, sottomessa e obbediente. A ciò reagisce il movimento, come dichiarato da Barbara Stratmann: «2.0 sta per un nuovo inizio. Azzerare tutto. Non siamo più così».

Maria 2.0 è tra le 12 organizzazioni femminili cattoliche, che ha organizzato Catholic Women Strike. Le altre sono: Association of Roman Catholic Women Priests (Arcwp), Call to Action, Corpus, DignityUsa, FutureChurch, New Ways Ministry, Roman Catholic Women Priests (Rcwp), Southeastern Pennsylvania Women’s Ordination Conference (Sepawoc), Women’s Ordination Conference (Woc), Women’s Ordination Worldwide (Wow).

A Linkiesta Marianne Duddy-Burke, direttrice esecutiva di DignityUsa, ha dichiarato: «I doni e il lavoro delle donne sono stati trascurati per troppo tempo dai funzionari della Chiesa. Non vi è alcun motivo per cui le donne debbano essere escluse dalle posizioni di comando e autorità. Le donne hanno tentato tutti i mezzi disponibili per essere ascoltate e per rispondere alle loro richieste di uguaglianza. Non siamo più soddisfatte del fatto che i nostri doni siano “speciali”, ma non quelli necessari per il governo nella Chiesa cattolica. Dobbiamo dimostrare che amiamo la nostra Chiesa ma non possiamo più tollerare di essere considerate membra minori».

Dimostrazione che va innanzitutto data a Papa Francesco come spiegato da suor Jeannine Gramick, cofondatrice di New Ways Ministry e nota in tutto il mondo per l’impegno a favore di una piena accettazione delle persone Lgbti nella Chiesa e nella società, che le è valsa, il 31 maggio 1999, una notifica di condanna da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede (all’epoca guidata da Ratzinger) su approvazione di Giovanni Paolo II.

«Anche se apprezzo – ci ha spiegato – che Francesco sta cercando di reindirizzare la barca di Pietro secondo lo spirito del Vaticano II, il Papa ha molto da imparare sulle donne. Proprio sul fatto che le donne non possono essere definite o limitate da ruoli stereotipati nella società né dovrebbero essere così limitate nella Chiesa. Quando metà della popolazione della Chiesa, qual è quella femminile, non può assumere decisioni o presiedere l’Eucaristia nelle parrocchie, nelle diocesi o in Vaticano, allora qualcosa è seriamente sbagliato. Un simile scandalo deve finire! Pertanto, chiediamo lo sciopero delle donne cattoliche, per annunciare che allo Spirito Santo deve essere permesso di soffiare nella Chiesa. Papa Francesco è un uomo umile e orante, capace di ammettere i suoi errori. Prego sua nonna Rosa affinché gli sussurri all’orecchio che il posto giusto per le donne nella Chiesa è lo stesso che hanno gli uomini».

Una situazione, questa, che è ritenuta non più sostenibile dalla teologa, patrologa ed ex monaca benedettina Selene Zorzi, per la quale «la pazienza delle donne è andata oltre ogni limite. E, se è vero che il grado di civilizzazione di una società si misura dalla condizione della donna, la Chiesa cattolica deve trovare ora un nuovo assetto. Una delle lezioni, che ci sta venendo dall’emergenza Covid-19 e che riguarda anche la sospensione delle celebrazioni, è che la fede può permettersi di relativizzare perfino l’eucaristia (solo Dio è assoluto: è la Parola che convoca la Chiesa ed è dall’ascolto della Parola che nasce la fede), e con essa il posto così centrale, necessario e “patriarcale” che è stato finora assegnato al prete maschio».

Una valutazione diversa, perché offerta da una donna esterna alla Chiesa, ma unisona nel contenuto è quella fornita dall’intellettuale e francesista lesbica Paola Guazzo.

«In un giorno di pioggia del maggio 1991 – ha ricordato – ho avuto il piacere di ascoltare la teologa femminista Mary Daly. Daly spaziava in mille riferimenti filosofici e religiosi, cercando di riconfigurare una dimensione che mettesse in primo piano l’essere femminile, da lei visto non come un to be, ma come un being, un divenire ontologico alla Deleuze, coniugato con la cura femminista delle relazioni salvifiche realizzate da una nuova comunità di donne biofile, pronte a un balzo in avanti, dopo il quale il presidente Mao sarebbe risultato solo un dilettante della trasformazione sociale. Utopia? Può darsi. Ma intanto, in questi tempi difficili, dove la crociata delle destre legate al Congresso mondiale delle Famiglie è organizzata e pervasiva, la piattaforma radicale e lo sciopero proposto dalle donne legate all’avanguardia del cattolicesimo mondiale segnano una tappa ardimentosa e orientata a un cambiamento profondo. Sperando che le strutture organizzative della Chiesa, che spesso in questi ultimi anni hanno prodotto antidoti alla disumanizzazione del soccorso, della misericordia e delle relazioni umane, capiscano che è necessario ora un cambiamento teologico e politico, il cui impatto potrebbe essere simile, se non maggiore, del Concilio Vaticano II. E che questo impatto ha un solo nome: donne».

Ma perché ribadire tutto ciò proprio attraverso lo sciopero? A fornire una dettagliata spiegazione a Linkiesta Marinella Perroni, già presidente del Comitato Teologhe Italiane (Cti) e docente di Nuovo Testamento presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. L’accademica romana, che è autrice di numerose pubblicazioni soprattutto in ambito neotestamentario, ha dichiarato: «Fin da tempi molto antichi lo sciopero è stata l’unica arma che le donne hanno imbracciato per ottenere qualcosa: era il 411 a.C., quando in Grecia è stata rappresentata per la prima volta la commedia di Aristofane Lisistrata, in cui le donne di tutte le città greche si coalizzano in uno sciopero per far terminare la guerra del Peloponneso che devasta l’intero paese da più di trent’anni. Certo, non si possono fare facili sovrapposizioni: lì si parla di astinenza dal sesso, nello sciopero delle donne cattoliche di astinenza dalle pratiche religiose ufficiali; lì l’esito finale è il ritorno alla condizione patriarcale precedente, le donne cattoliche sperano di contribuire a un ripensamento profondo delle asimmetrie ecclesiali. Ci sono però affinità importanti tra la commedia antica e la situazione della Chiesa cattolica attuale: basti pensare alla difficoltà di rendere tutte le donne consapevoli del fatto che lo sciopero è solo un mezzo, anche se ben più serio e responsabile dello scisma silenzioso con cui suggellano il loro allontanamento dalla chiesa.

Resta però un mezzo. Se sarà efficace non lo sappiamo: certo non è il primo, se pensiamo a quello delle donne cattoliche tedesche dello scorso anno, e non sarà neppure l’ultimo, perché le battaglie serie chiedono tempi lunghi e costanza nella determinazione. È comunque una parola “gridata” (alcuni diranno “strillata”), perché parlare non basta, provare a ragionare non basta. Il doppio naufragio, della commissione di studio per il diaconato e delle aspettative della Chiesa amazzonica, lo dimostra.

«Se cediamo, se gli diamo il minimo appiglio, non ci sarà più un mestiere che queste, con la loro ostinazione, non riusciranno a fare. Costruiranno navi, vorranno combattere per mare […]. Se poi si mettono a cavalcare, è la fine dei cavalieri». Così recita il coro dei vecchi ateniesi di fronte all’Acropoli occupata dalle donne in sciopero. In fondo, avevano già capito con grande anticipo, che uno sciopero non basta mai a sé stesso, è come il dito che indica la luna. Solo chi non vuole capire si ferma a guardare il dito, mentre è ormai dimostrato che, sulla luna, prima o poi ci si arriva».

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