Il grado di civiltàIn carcere ci sono meno detenuti di prima della pandemia, ma le condizioni sanitarie restano pessime

Pochi contagi ma misure a rilento. Oltre alla mancanza di spazi e alla scarsa strumentazione tecnologica per i colloqui da remoto. Qualcosa è stato fatto, ma la strada è ancora lunga

«Nelle carceri qualcosa è cambiato, ma è ancora troppo poco». A dirlo sono le associazioni che operano all’interno degli istituti stessi, i sindacati della polizia penitenziaria e i dati ufficiali. A più di un mese di distanza dalle sommosse, sono oltre 6 mila i detenuti in meno negli istituti penitenziari italiani: circa 55 mila presenze a fronte delle 61 mila del 29 febbraio scorso.

In termini di contagi, invece, si registrano 105 situazioni di positività tra le persone detenute e 204 contagi tra gli agenti penitenziari. Numeri stabili, anche se difficili da reperire. «La nostra comunicazione con l’interno degli istituti si è complicata non poco» spiega a Linkiesta Alessio Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio carceri dell’associazione Antigone. «Oltre ai dati, che ci arrivano con difficoltà e spesso in maniera ufficiosa, uno dei maggiori problemi sono i collegamenti da remoto, in quanto molti istituti non dispongono della strumentazione adeguata al numero di detenuti presenti».

Secondo il report di metà 2019 dell’associazione, infatti, nell’81,3 per cento delle carceri non è mai possibile collegarsi a internet. Un dato che pone di fronte un interrogativo: esiste un piano complessivo per gli istituti penitenziari per superare l’emergenza sanitaria e convivere con i cambiamenti dettati dal virus?

La risposta, per il momento, è no. «C’è stato un aumento delle mascherine e il numero dei detenuti in diminuzione, tra quelli usciti e sopratutto quelli non entrati, è certamente un passo in avanti» aggiunge Gennarino De Fazio, segretario nazionale dell’organizzazione sindacale Uilpa Polizia Penitenziaria. «Quello che manca però è lo spazio per garantire una sicurezza condivisa. Gli agenti mettono a repentaglio la propria incolumità e quella della persona detenuta, in quanto non esiste luogo per poter applicare un isolamento preventivo o per garantire un’assistenza sanitaria immediata».

La capienza regolamentare ufficiale del sistema carcerario italiano è di circa 50 mila posti, quando i detenuti continuano a essere circa 55 mila. In aggiunta, ricorda Scandurra, a quelle aree «in manutenzione, quasi sempre presenti, e a quelle che dopo le rivolte di marzo sono rimaste inagibili».

Quello che di cui necessita il detenuto, però, è anche il contatto con l’esterno. «Bisogna evitare di arrivare al “carcere che prigionizza”. Se abituiamo ancor di più i detenuti a vivere dentro gli istituiti, allontanandoli dalla vita esterna, potrebbe crearsi una situazione drammatica e di conseguenza ingestibile» dice a Linkiesta Emilio Santoro, filosofo del diritto e presidente del comitato scientifico dell’associazione L’altro diritto.

Parallelamente a questo, alcuni progetti prevedono un incremento della potenza della banda larga e la fornitura di device in grado di subentrare alla rete tradizionale dei colloqui di persona. E se Antigone ha cominciato a distribuire smartphone alle carceri più affollate, Cisco, multinazionale specializzata nella fornitura di apparati di networking, ha messo a disposizione la piattaforma Cisco Webex – normalmente usata per le videoconferenze e la collaborazione in ambito aziendale – per dare la possibilità ai detenuti di tenere i colloqui in forma virtuale.

L’iniziativa è stata avviata a metà marzo nel carcere di Bollate a Milano, per poi essere condivisa e adottata da altri 30 istituti. Grazie alla piattaforma i detenuti hanno a disposizione ogni giorno anche 30/40 colloqui da spartirsi, con la possibilità così di continuare a esercitare il proprio diritto alla relazione con i familiari.

Più difficile e complicato è il tema della scuola e del lavoro. Sono 926 gli studenti universitari in carcere, ma ad oggi le attività didattiche e i laboratori sono fermi e difficilmente riprenderanno a breve.

Sempre nell’ottica dei diritti da tutelare, prima di tutto, ripetono le associazioni, rimane comunque la salute. Secondo i dati del dossier che il Sindacato polizia penitenziaria ha presentato al ministero della Salute lo scorso febbraio «due detenuti su tre sono malati, tra i 25 mila e i 35 mila sono affetti da Epatite C, in aumento Hiv positivi (6.500) e tubercolosi, almeno un migliaio i detenuti con problemi mentali nelle celle di istituti normali e 1200 in istituti specifici».

«Abbiamo chiesto misure più intense per chi in carcere ha problemi di salute. Ma in molte realtà questo è praticamente impossibile, proprio per lo stato in cui versano gli istituti» continua Scandurra. Un’alternativa a questo potrebbe quindi essere l’applicazione di meno paletti sulla detenzione domiciliare e maggiori misure alternative.

Il Garante ha riferito che, rispetto al calo dei detenuti, per 2.078 casi si è trattato di uscita in detenzione domiciliare, di cui 436 con applicazione del braccialetto elettronico e 425 casi di licenze fino al 30 giugno per persone semilibere.

«Quello che si chiede, quindi, è un alleggerimento più massiccio delle carceri di altri 8-10 mila detenuti, in modo da evitare che le prigioni diventino dei luoghi ideali per la propagazione del contagio» commenta Scandurra.

Quanto ai braccialetti elettronici, ad oggi risultano insufficienti. Quelli disponibili fino al 15 maggio sono 2.600, anche se teoricamente dovrebbero essercene almeno 15 mila, visto che il contratto con Fastweb (la compagnia che ha vinto il bando di gara) prevede la fornitura di 1000-1200 braccialetti mensili per l’intera durata triennale.

«Sono anni che parliamo di reinserimento del detenuto, declinato alla sua responsabilizzazione nella società. Controllare con una macchina il detenuto è tutto fuorché responsabilizzante» conclude Santoro. «Non so cosa farà il detenuto una volta lasciato libero con il solo braccialetto. Tant’è vero che prima del Cura Italia questo strumento si era usato pochissimo come misura alternativa. C’è una cultura dietro alla scelta di non mettere il braccialetto elettronico, che in un’ottica di riorganizzazione degli istituti deve essere comunque tenuta di conto».

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