Ieri è stata una giornata istruttiva per il giornalismo e per la politica al tempo della pandemia. Gad Lerner ha mirabilmente raccontato su Repubblica le scelte funeste compiute dentro una casa di riposo milanese, purtroppo non un caso isolato come scriviamo da giorni e nemmeno limitato alla Lombardia leghista, perché il contagio di anziani dentro gli ospizi si è diffuso su tutto il territorio nazionale, anche dove Salvini non c’entra niente.
Ma anziché fare due più due, cioè chiedere al governo nazionale e al suo comitato tecnico-scientifico che da un mese apre e chiude, a volte con e a volte senza mascherina, perché non si siano occupati in tempo degli anziani negli ospizi, sullo stesso giornale, a firma del fondatore Eugenio Scalfari, si legge uno straordinario elogio del premier, come se Giuseppe Conte fosse un estraneo, stavo per scrivere “uno capitato lì per caso”, rispetto alla risposta del nostro paese alla diffusione del virus: «Mi piace segnalare – ha scritto Scalfari dopo aver lodato più volte la lucidità del premier – che Conte è molto vicino a questo nostro giornale; non è certo una vicinanza clientelare ma una coincidenza notevole degli obiettivi italo-europei di Conte e quelli che noi abbiamo sempre sostenuto: la sinistra liberale e democratica».
Stiamo parlando dello stesso Conte che tuona contro il Mes, che ha governato con Matteo Salvini, che ha firmato i decreti sicurezza e si è messo contro tutta Europa, ottenendo peraltro nulla, sulla questione dell’immigrazione, e che in queste settimane ha fatto entrare i russi in Italia, non ha detto una parola contro le minacce dei militari del Cremlino al giornalista della Stampa e, per restare al tema dell’articolo di Lerner, non ha chiuso le case di riposo prima ancora delle scuole o delle curve.
Sempre ieri, sul Corriere della Sera, l’editoriale principale firmato dagli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi era di quelli che resteranno: uno straordinario affresco sul secondo dei due virus che stiamo affrontando, non quello di tipo corona che a un certo punto, magari tra un anno e mezzo, sarà debellato dal vaccino, ma quello che, aiutato dal Covid-19, oggi attacca la democrazia e, come scrivono i due economisti, si manifesta in almeno quattro forme: Putin, Trump, autocrati alla Orbán e sovranisti europei.
Anche in questo caso, è mancato il rigore da tirare a porta vuota: quale sarà mai, infatti, l’unica esperienza governativa mondiale che ha fatto entrare le truppe russe nel proprio paese, consentendo di minacciare La Stampa, ha flirtato a lungo con Orbán e con tutti i sovranisti europei e si è prostrata alle manovre criminali di Donald Trump e del ministro William Barr per screditare un avversario politico interno come se l’America e l’Italia fossero una provincia della Bielorussia?
Esatto, l’unica esperienza governativa mondiale capace di genuflettersi a Putin, a Trump, ai sovranisti antieuropei e, per non farci mancare niente, anche all’espansionismo cinese con i memorandum e le arance rosse di Ribera, è quella che porta il nome di Giuseppe Conte. Eppure, nonostante lo splendido editoriale di Alesina e Giavazzi, il Corriere è sempre prodigo di elogi nei confronti del nostro presidente del Consiglio, malgrado sia stato colto di sorpresa dal virus corona e sia stato molto accogliente con il virus numero due.
Sul Fatto, sempre ieri, dalle lodi a Conte si è passati direttamente a lodare l’editto del Cremlino contro Jacopo Iacoboni, il quale secondo un editorialista del giornale di Travaglio avrebbe dovuto scusarsi personalmente con Mosca per aver osato criticare l’operazione propagandistica, e chissà cos’altro, di Putin avallata da Conte.
Anche l’amato Foglio, sempre sia lodato, risulta stravagante su Conte: ogni giorno fa da scudo al premier perché è criticato da sessanta milioni di epidemiologi della domenica, salvo avvolgere sabato scorso il giornale con un bandierone intitolato «Non è andato tutto bene». No che non è andato tutto bene e, con tutte le attenuanti che impone la straordinaria difficoltà di affrontare una pandemia epocale, qualche responsabile politico si dovrà pur individuare, magari uno che un mese e mezzo fa diceva, come un Trump del popolo, che eravamo i più preparati del mondo ad affrontare il virus.
La lezione giornalistica è arrivata dall’America. Dal Washington Post, intanto, che in prima pagina ha titolato «Settanta giorni di incapacità di ammettere la realtà, di ritardi e di disfunzioni», e poi da Jake Tapper della CNN. Tapper, rivolgendosi a Trump, ha pronunciato un formidabile monologo intorno a un semplice tema: signor presidente, qual è il piano per salvare gli americani?
È evidente che Trump il piano non ce l’ha, così come non ce l’avevamo noi e non ce l’avevano tutti gli altri. Ma è proprio questo il momento di pretendere da chi è al potere di spiegare che cosa sta facendo per attenuare gli effetti della devastazione umana, sociale ed economica causata dal virus, e di ritenerlo responsabile delle scelte fatte o da compiere. Il momento di fare polemica è esattamente questo, dopo potrebbe essere troppo tardi.