Il professor Angelo D’Orsi, illustre studioso in particolare del ruolo degli intellettuali italiani del Novecento, partito da un solido impianto azionista è approdato negli anni sui lidi russofili, antioccidentali e dunque illiberali. Sul Fatto quotidiano, giornale molto sensibile a questi umori, il professor D’Orsi ha scritto un articolo tanto veemente quanto sgarbato contro Jacopo Iacoboni a proposito del suo scoop sulla missione russa in Italia e delle relativa aggressione intimidatoria di Mosca contro di lui.
È evidente che D’Orsi non sa nulla del merito della questione, non ha letto i pezzi di Iacoboni né quelli de Linkiesta né di nessuno, ne ha solo sentito parlare per il tramite di Marco Travaglio, il suo mito giornalistico «che a differenza di Iacoboni è un vero giornalista, uno di quelli che dà quotidiane lezioni di giornalismo (ma a chi?-ndr), una penna caustica (che risate-ndr), un signor giornalista (daje-ndr), uno che evita le supposizioni (come no-ndr), prova a raccontare i fatti sulla base di una documentazione accertata (tipo le carte che gli passano certe procure-ndr)».
L’amore non conosce ideologie, e infatti lo storico mooolto di sinistra non esita a rivelare che «Travaglio è uomo che dichiaratamente si dichiara politicamente di destra», il che, detta così, non farà piacere al diretto interessato che ha passato la vita a slalomeggiare di qua e di là dietro lo schermo (profanato) del montanellismo di cui spesso si picca. Però a guardar bene la “notizia” che il direttore del Fatto sia di destra è la sola cosa esatta di tutto l’articolo dorsiano. Travaglio sarà pure di destra ma il D’Orsi, uno che odia la libera America e vagheggia la sacra Russia manco forse Solzenycin, lo ama tanto tanto: il che, in definitiva, è un problema suo, stia tranquillo che qui in Occidente tutto è permesso.
La cosa se possibile più inquietante è invece questo rigurgito antioccidentale di parte – una piccola parte, per fortuna – di certa accademia un tempo di sinistra, quella più a sinistra della sinistra, trasmigrata con il passare del tempo e del proprio vissuto fra i fanatici dell’autoritarismo illiberale e banditesco della Russia di Putin. Sentite l’elegia: «Da questo grande Paese erano giunti aerei cargo che avevano trasportato camion attrezzati con un centinaio di addetti, tutto personale medico e paramedico altamente qualificato. Un esempio di organizzazione perfetta e di eccezionale generosità». Nemmeno la Pravda sotto Stalin. Italia ingrata, presa in giro dagli alleati ma soccorsi da «Paesi che, guarda un po’, erano stati dell’area del socialismo, o lo era ancora (sic): Repubblica popolare Cinese, Cuba, Venezuela, Federazione Russa»: sembra un testo del Cominform, che era la brutta copia del Comintern, sciolto da Stalin nel 1949.
E dopo aver “dimenticato” la minaccia del generale Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa russo – il terribile «Qui fodit foveam, incidet in eam (chi scava una fossa al prossimo ci finirà prima)» – il professore trasecola non riuscendosi a spiegare come, dopo la nota stalinista ricordata, Jacoboni non abbia chiesto scusa! Avrebbe dovuto andare all’ambasciata russa camminando sui ceci implorando la grazia dei burocrati-inquisitori dichiarandosi colpevole come Bucharin davanti a Vysinskij, il povero Jacopo, e con lui tutti quelli che osano criticare Santa Madre Russia, ovviamente tutti prezzolati da Zio Sam e tutti servi del capitalismo. Una roba di destra che neanche Marco Travaglio.