Istruzioni per l’usoOrdinare delivery è sicuro?

È più nobile fare la spesa e spendere ore ai fornelli o farsi coraggio in un mare di offerte online, e porre fine alla fame con un ristorante a domicilio? Raccomandazioni semplici e pratiche per ordinare senza stress

Foto di wal_172619 da Pixabay

Il sito del Ministero della Salute italiano ha un’interessante pagina fitta di consigli e indicazioni utili per corretti stile di vita; perché le misure di contenimento del virus se da una parte ci proteggono dal rischio contagio, dall’altra ci espongono al rischio di adottare abitudini sbagliate, suggerite proprio dalla sedentarietà casalinga. Oltre all’attività fisica, occorre seguire un’alimentazione varia e bilanciata, ça va sans dire, un principio che vale sempre, oggi ancora di più.

Se la percentuale di italiani panificatori e pizzaioli domestici è schizzata in alto in queste settimane, il fenomeno speculare, per chi non vuole rinunciare a ‘mangiar fuori’ restando a casa, si chiama delivery, le consegne di pasti a domicilio, l’unica forma contemporanea di ‘evasione’ gastronomica. Un sistema letteralmente esploso; se molti all’inizio erano i cuochi scettici, col passare delle settimane cresce il numero di ‘ristoranti a casa’ tra i quali poter scegliere. Il delivery come una precaria scialuppa di salvataggio per locali che navigano a vista nel mare della ristorazione sempre più in crisi, prossimi ad attraccare alla fase due che riserva più di un’incognita.

Ancora lontana è l’oasi del ritorno alla piena normalità, quasi un miraggio. Di questi tempi non pochi sono coloro che nutrono dubbi, a volte vere e proprie paure, verso l’ordine effettuato da remoto di pranzi e cene: sicurezza alimentare, timori di entrare a contatto col virus, contatto con il trasportatore, sono i temi ricorrenti. E allora in definitiva: delivery or not delivery? È più nobile fare la spesa e spendere ore ai fornelli o farsi coraggio in un mare di offerte online, e porre fine alla fame con un ristorante a domicilio? Quali possono essere le raccomandazioni semplici e pratiche per ordinare senza stress?

Lo abbiamo chiesto a Maura Pasini, tecnologa alimentare che da anni si occupa di qualità, sicurezza e sostenibilità dei processi coinvolti nel sistema della filiera alimentare. Oltre a mettere a disposizione le proprie conoscenze con consulenze ad aziende, ristoranti, riviste e fondazioni, Maura svolge un’intensa attività di formazione su queste tematiche. È anche sommelier, scienza e piacere della tavola uniti assieme.

Prima ancora di ordinare il nostro pasto, quali informazioni possiamo cercare di raccogliere dai siti web, dalle App, o chiedendo direttamente ai ristoranti? Ci sono indizi o modi di comunicare il servizio che possono incoraggiarci a farlo?

«In realtà abitative più piccole, la maggior parte dei delivery sono i ristoranti del posto che si sono attrezzati per l’emergenza Covid, e in genere continui con il ristorante col quale eri già fidelizzato. In una realtà più grossa, come può essere Milano, hai meno possibilità di capire quali garanzie ti possono offrire, vai sulla fiducia. Se ordino da un ristorante di cui ero già cliente posso essere avvantaggiato, è vero, ma in fondo anche in quel caso non avrò ispezionato la sua cucina, nemmeno quando lo frequentavo ‘normalmente’. Per cui alla base c’è sempre la fiducia come parametro fondamentale; per fortuna in Italia il livello di attenzione nei confronti della sicurezza alimentare è elevato. Altri “indizi” che posso trarre visionando il sito web sono dati dai riferimenti normativi (es: se parla di sushi mi aspetto cenni al trattamento di bonifica ai sensi del Reg. CE 853), dai riferimenti ai potenziali allergeni, dagli accorgimenti adottati in fase di consegna (distanze di sicurezza, preferenze per il pagamento online ecc.): il ristoratore dimostra la conoscenza e l’attenzione agli aspetti normativi.

Informazioni aggiuntive, più rare nel settore della piccola ristorazione, possono essere eventuali certificazioni volontarie (ISO 9001, ISO 22000, HACCP). Attenzione però: l’espressione “certificato HACCP” non equivale a seguire la metodologia HACCP nel proprio sistema di autocontrollo, cosa che fanno tutti perché richiesto per legge. Una certificazione in questo senso è qualcosa in più, viene rilasciata da una terza parte indipendente (ente di certificazione) che ha verificato l’azienda, a dimostrare che si impegna a produrre prodotti sicuri con approccio di sistema di controllo di gestione e ad adempiere a quanto richiesto dalla norma. Ripeto però che sono aspetti difficilmente sostenibili a livello economico per una piccola realtà, per cui il fatto che non vi siano non è assolutamente indicatore di scarsa attenzione alle tematiche di sicurezza alimentare. »

Sono state emanate diverse linee guida dedicate ai ristoranti che fanno delivery, come quelle elaborate dal Servizio Veterinario Igiene degli Alimenti di Origine Animale e loro Derivati della U.L.S.S. 7 Pedemontana. La stessa OMS ha emanato un documento operativo in tal senso che riguarda i vari aspetti dalla manipolazione, trasformazione dei cibi fino alla consegna. E poi ci sono le indicazioni di sicurezza alimentare definite dal Fipe (federazione italiana pubblici esercizi).

Ma per il consumatore finale esiste una letteratura in materia?

«Il documento prodotto dalla U.L.S.S. Pedemontana è un ottimo riferimento per i ristoratori che, soprattutto all’inizio dell’emergenza Covid, erano un po’ spaesati per la nuova attività di delivery. Molti temevano di dover cambiare la propria SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività ndr), mentre è sufficiente un aggiornamento del manuale di autocontrollo aziendale con i riferimenti ai corretti comportamenti da adottare nell’attività di delivery. Lo stesso documento contiene anche un capitolo dedicato alle informazioni al cliente (ad esempio sulla conservabilità dei prodotti e sugli aspetti igienici legati alle temperature dei cibi, importanti per prevenire tossinfezioni alimentari, al di là del ‘problema Covid’). Anche le raccomandazioni OMS contengono prassi utili anche per il consumatore, non solo per ristoratori (ad esempio, sulle modalità più efficaci di lavarsi le mani).»

Se volessimo indicare cautele utili in generale, quali potrebbero essere?

«Ricordare quali sono le vie di contaminazione: occhi, naso e bocca, quindi non ‘perdere la testa’ cercando di rendere la nostra abitazione una ‘camera sterile’ perché è controproducente a livello psicologico ossessionarsi, anzi può essere dannoso (si usano troppi prodotti chimici in ambienti chiusi in questo periodo!), ci fa perdere di vista il punto focale che è lavare spesso le mani ed evitare che queste, se potenzialmente contaminate, vadano in contatto con occhi, naso e bocca. Restare quindi focalizzati sulle vie respiratorie, che sono quelle attraverso cui può avvenire il contagio.»

Posso riservare qualche accorgimento nel preparare la tavola, piatti, posate?

«No, è sufficiente porre attenzione a un corretto lavaggio delle mani prima di farlo.»

Quando finalmente suonano al citofono è meglio evitare qualunque contatto con il trasportatore, buona norma che conosciamo e già spontaneamente messa in atto dalle aziende per tutelare i propri dipendenti. Ma al ritiro del pacchetto sul pianerottolo di casa come mi comporto per prelevarlo, per estrarre il cibo e impiattarlo? 

«Tranquillità, (è controproducente a livello psicologico ossessionarsi!!), attenzione sempre a occhi naso e bocca e al lavaggio mani al termine. Per replicarsi il virus ha bisogno di un contatto diretto, persona a persona, e in assenza di tale contatto la carica virale non sarà mai troppo elevata. Aggiungerei poi due righe sulla ‘tematica guanti’: va benissimo indossarli per fare la spesa, come stanno richiedendo i supermercati, però se i guanti non vengono cambiati, o se quando vengono tolti poi non ci si ricorda di lavare le mani, si mettono in atto comportamenti scorretti: così facendo i guanti rischiano di non essere più una garanzia ma un ostacolo all’igiene e alla sicurezza. A casa non ha senso usarli, vale sempre la regola della mani lavate bene dopo aver toccato involucri provenienti dall’esterno.»

Come devo trattare gli imballaggi? Dove li posiziono prima di prelevare il cibo? E dopo, quale uso posso fare di sacchetti e contenitori per alimenti?

 «Nell’ingresso di casa elimino già la confezione più esterna, entrata in contatto con superfici potenzialmente sporche e/o contaminate e con le mani del trasportatore, buttandola negli appositi contenitori per la raccolta differenziata, senza farla entrare in cucina. Porto poi i contenitori con il cibo in cucina, li svuoto, possibilmente senza appoggiarli su superfici in cui appoggerò altro cibo (ad es. no sul tagliere dove andrò a preparare della verdura da consumare cruda), impiatto ed elimino anche questi contenitori.»

Dovendo giudicare l’esperienza per decidere se ripeterla, ci sono contenitori più sicuri e contenitori che garantiscono una minor protezione per il cibo? 

«Non c’è una risposta univoca, dipende dalla tipologia di alimento, dalla sua temperatura, dal suo grado di acidità. Mi dedicherei più che altro a valutare come è stata redatta l’etichettatura, ad esempio se ha una informazione corretta relativa agli allergeni, alle modalità di consumo e conservazione di eventuali avanzi. Altro discorso è quello della valutazione degli imballaggi in riferimento alla sostenibilità ambientale, in questo senso il compostabile è sicuramente preferibile.»

Sulla questione delle pietanze poi, se sono già cotte posso stare più tranquillo? 

«Dal punto di vista alimentare la cottura più sicura è quella fatta a casa, dove all’abbattimento di agenti patogeni o dello stesso virus a una certa temperatura, segue il consumo immediato. Parlando di delivery il discorso cambia: con la cottura al cuore dell’alimento a 70 gradi in pochi minuti il virus muore, ma se durante il confezionamento/trasporto accidentalmente il prodotto viene ricontaminato, rischio di vanificare qualunque ‘vantaggio’ che derivi dalla cottura (anzi, il prodotto cotto è anche più sensibile in tal senso non avendo più una flora microbica competitiva!). È vero che, rispetto ad altri rischi alimentari, dovuti ad esempio ad agenti patogeni che si moltiplicano lasciati a contatto col cibo per un certo periodo di tempo, il Covid 19 una volta depositato sul cibo poi non si replica durante il trasporto.»

E se mi volessi concedere un gelato o qualcosa di crudo, come ad esempio un carpaccio, una tartare o una serata sushi? In generale esistono preparazioni più o meno sicure? 

«Le linee guida OMS in questo periodo sconsigliano il consumo di alimenti di origine animale crudi: anche se gli studi escludono una possibile trasmissione alimentare del Covid 19, si tratta di una misura cautelativa. Per il gelato direi invece che non ci sono grossi problemi, ha una temperatura molto più bassa. Eventuali sbalzi termici, (il mancato rispetto della catena del freddo), sono eventualmente evidenti perché si formano dei cristalli di ghiaccio, diventa più granuloso.»

È consigliabile scaldare i piatti al fine di una maggiore sicurezza o è indifferente?

«Non è indifferente perché in ogni caso, se qualcosa non fosse andato ‘bene’ in fase di trasporto, con qualche minuto a 70 gradi al cuore del prodotto posso ridurre i rischi (dal punto di vista della ‘problematica Covid 19’), ma se il prodotto è arrivato alla temperatura idonea e non ho motivi per sospettare eventuali ‘anomalie’ eviterei, per non ridurne la qualità sensoriale e le proprietà nutrizionali. E comunque, nella tematica ‘alimenti e trasporto’, sarei più preoccupata da eventuali patogeni alimentari, che dal Covid 19.»

A queste e ad altre tematiche è dedicato il corso che Maura Pasini terrà a Milano il 14 maggio presso l’Accademia del Panino Italiano, dal titolo “Tecnologia Alimentare. Come ci prepariamo al rientro?”. Visto il periodo si tratta di una formazione on-line, maggiori dettagli su costi, orari e modalità di accesso li potere reperire contattando direttamente l’Accademia scrivendo a [email protected].

 

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