Keir Starmer ha il compito più facile del mondo: non ripetere gli stessi errori del suo predecessore Jeremy Corbyn che ha guidato il partito al peggior risultato elettorale dal 1935. Il nuovo segretario del Labour ha però anche un compito difficile, riuscire a mobilitare intorno alla sua figura unitaria, ma non così carismatica, i 12 milioni di elettori (40%) che si erano avvicinati al partito nelle precedenti elezioni del 2017. La sua campagna elettorale non è stata entusiasmante anche se ha ottenuto il 56,2 per cento dei voti degli iscritti che hanno votato per tutto marzo via mail o per posta. L’assemblea per celebrare la sua vittoria è stata annullata a causa del coronavirus, e il Regno Unito in questo momento ha altro a cui pensare. Esistono momenti migliori per inaugurare una leadership.
Difficile che questo renda nervoso l’imperturbabile 57enne ex procuratore, ex ministro ombra per la Brexit e convinto europeista. Ha studiato a Oxford, è uno dei deputati più ricchi di Westminster ed è un Sir, ma non è il classico posh di Eton, anzi. La carta d’identità di “socialista vero” gliel’hanno data i genitori che lo hanno chiamato così in onore di Keir Hardie, il fondatore del Partito laburista. Il padre Rod lavorava come operaio, la madre Jo ha dovuto lasciare il lavoro da infermiera perché soffriva del morbo di Still, una malattia infiammatoria. Nel 2014 la Regina Elisabetta ha concesso a Starmer il titolo di Baronetto per il suo lavoro come pubblico ministero (al Crown Prosecution Service) dopo essere stato per anni un avvocato difensore dei diritti umani. Ma Keir da giovane aveva anche proposto l’abolizione della monarchia inglese.
L’inizio della sua carriera da avvocato sembra un film di Ken Loach o meglio un documentario. Infatti Starmer è apparso nel “McLibel case” del 1997 (poi riedito nel 2005) diretto proprio da Loach, perché era l’avvocato pro bono di due attivisti ambientalisti che avevano fatto causa a McDonald. La sua scalata ai vertici della giustizia inglese è lo spot della meritocrazia, la sua ostinazione a non apparire come una figura divisiva è più da pubblicità progresso. La sintesi perfetta per guidare il partito che dopo cinque anni di segreteria Corbyn cerca una tregua ideologica senza perdere però il radicalismo necessario in quest’era della politica degli estremi.
Con lui il Labour non sarà un “rosé” centrista, ma neanche massimalista. Durante la campagna elettorale, Starmer ha parlato di «socialismo morale» che dovrebbe porsi a destra del massimalismo di Corbyn e a sinistra del centrismo progressista dei tempi di Tony Blair. «Penso che sia inevitabile dover chiedere a coloro che hanno di più di pagare di più» ha detto nella sua prima intervista ad Andrew Marr sulla Bcc per far capire l’antifona e ha aggiunto che i lavoratori “chiave” dell’economia britannica (poliziotti, infermieri e insegnanti) «sono stati spesso trascurati, sottopagati e deve esserci un cambiamento».
Il nuovo segretario Labour ha rifiutato di entrare in un governo di unità nazionale ma ha promesso una opposizione costruttiva al governo durante l’emergenza: «La mia leadership porrà domande difficili ma solo allo scopo di evidenziare errori in modo che possano essere corretti». Ha promesso di «non fare opposizione per il gusto di fare opposizione o per fare propaganda di partito o per fare richieste impossibili». Tradotto: l’opposto di Corbyn che ha gestito in modo intransigente l’opposizione durante la Brexit.
Per farlo, Starmer ha stravolto la segreteria, il governo ombra, cercando di accontentare tutte le anime del partito ma allo stesso tempo dando un’immagine di squadra preparata. A Lisa Nandy, una delle altre due candidate alla leadership, ha assegnato il ruolo di ministro degli Esteri ombra. Ha scelto Anneliese Dodds, deputata a Westminster da soli tre anni, come Cancelliere dello Scacchiere (il ministro delle Finanze) ombra. Una scelta coraggiosa ma Dodds è stata in passato eurodeputata membro della commissione per gli affari economici e monetari del Parlamento europeo. Le scelte sono nel segno della competenza e della novità con molte teste pensanti e pochi fedelissimi. Un cambiamento rispetto al passato in cui i membri della segreteria Corbyn erano stati accusati di essere degli esecutori ”yesman”.
L’obiettivo non facile sarà quello di mostrarsi un leader dell’opposizione pungolante ma non sfascista e allo stesso tempo stimolare con le idee la base di giovani e working class che potrebbero disamorarsi di un Labour troppo moderato. Ma forse il problema sarà proprio farsi notare.