Già, ma cosa fanno le band (soprattutto quelle nell’accezione classica del termine) al riparo delle loro sale-prove, che in questo caso viene da chiamare, più che mai, “cantine”? Qualcosa anche di molto diverso dal repertorio ufficiale che propongono durante i tour e le apparizioni importanti, allorché tutto è codificato alla messinscena e alla conferma di un marchio, di uno stile, di un suono. Per esempio sperimentano, tra il serio e il giocoso. E proprio in questi voli liberi si estrinseca quella natura di “gruppo” ormai finita un po’ ai margini e al passato, quasi che fosse un genere e non una condizione di partenza fortunata e promettente.
Prendiamo i Subsonica, benemerita e molto amata formazione torinese che della propria descrizione del collettivo, del lavoro comune, dell’interazione tra i membri ha fatto una delle sue prerogative. Col titolo “Mentale Strumentale” esce adesso il nono album del gruppo, registrato nel 2004 e mai pubblicato. La storia è semplice: nei pressi della scadenza del contratto con la casa discografica, e non intenzionati a rinnovarlo, i membri della band decidono di assolvere all’ultimo obbligo – la consegna di due dischi di inediti o di un “doppio” – blindandosi in sala di registrazione e dando libero sfogo alla propria immaginazione musicale, con il fermo intendimento di confezionare un prodotto “one off” che li mettesse in condizione di ripartire verso nuove frontiere.
Come capita ai musicisti appassionati, e i Subsonica sono prima di tutto questo, oltre che dei convinti assertori della dimensione-gruppo – la cosa, magari partita come un proposito spavaldo, si è trasformata in un’effettiva avventura sonora. La strada da seguire era stata individuata: la ricerca elettronica e nelle pieghe dei suoni “altri”, al di là del concept tradizionale di canzone, liberando il repertorio di citazioni, ricordi e impressioni accumulati in decenni di attenti ascolti. Dunque l’ambiziosa idea degli “strumentali”, “musica per musicisti” come si dice spesso, con in mente i maestri tedeschi degli anni 60-70, Can, Faust e Amon Dull e poi ovviamente i Pink Floyd, ma anche i Radiohead che proprio in quel periodo avevano messo in circolazione “Amnesiac” – e i fan sanno bene quale sia la connessione del nucleo Subsonica all’immaginario di Thom Yorke.
L’ispirazione originale era semplice, quasi banale, così apertamente “matrice” per un trip del genere: il viaggio nello spazio profondo, dove la dimensione di fa suono, e il tempo diviene materia. La vicenda ebbe un epilogo prevedibile: la casa discografica ascolta i nastri presentati dalla band e rifiuta la pubblicazione del disco. Ma come? La casa madre di “Amorematico”, una factory di successi ormai consolidata, che diavolo c’entrava con quella cosmogonia stellare, quell’intemerata freak, mentre c’era il mercato dei palasport da conquistare e difendere?
Ora sono passati 16 anni, tutti sono diventati grandi e nel grande freddo di questi mesi e nei discorsi di Casacci, Samuel e soci dev’essere riaffiorato quel progetto mai nato, certamente con l’affezione particolare che gli artisti riservano ai loro prodotti più gracili e raffinati. Le giornate disponibili per riflettere devono aver fatto il resto: i nastri sono usciti dalle scatole, lo scopo era a portata di mano – devolvere le royalties a uno scopo utile, attraverso la Fondazione Caterina Farassino che supporta gli ospedali di Torino e Asti con la fornitura di dispositivi per l’emergenza sanitaria – e l’operazione è partita.
Già la confezione di “Mentale Strumentale” è affascinante, austera, geometrica, tardo-ideologica, con quel circuito stampato al centro e l’evocazione/invocazione di una elettronica analogicamente d’altri tempi, capace di generare, proprio per induzione, un misterioso calore umano e l’eccitazione della modernità. Del resto, da subito, entrando nel disco, si coglie una cifra sorprendente, perché il viaggio nello spazio è un archetipo sempre meraviglioso, se affrontato con la coerenza e la convinzione necessaria.
Ed è quello che hanno fatto sedici anni orsono i Subsonica, una volta allestito il campionario degli strumenti, selezionata la modalità e le tappe del viaggio e avviati i motori della macchina-gruppo. Quale rappresentazione si presta meglio a chi ha accumulato ascolti formidabili, a chi ha imparato a tradurre in suoni, armonie e rumori, le emozioni del grande esperimento cosmico, del viaggio verso la lontananza che diviene, categoricamente, l’esplorazione del Sé profondo?
Mantenendo premesse e promesse “Mentale Strumentale” è questo: pop spaziale rivisitato, riuso delle suggestioni dell’immensità, reinterpretazione – distaccata ma rispettosa – del teatro dell’infinito a cui ci abituarono le navicelle, i vettori e gli uomini della Luna, quelli che ridiventavano minimi di fronte all’assoluto. Sentito oggi “Mentale Strumentale” è un piccolo piacere, che verrà adorato dai filologi e dai dietrologi della storia del rock, costituirà una prova d’amore per i fans della band e spingerà noi ascoltatori semplici a rispolverare vecchie tecniche di ipnosi sensoriali – occhi chiusi, cuffie enormi e la tentazione di rispolverare la vecchia e malandrina macchinetta progettata per i light show casalinghi.