Si può fare a meno del lockdown? Di fronte al caso svedese, alla sua strategia «non ortodossa» (definizione di Nature) per il contenimento del virus, la domanda diventa pressante. Secondo Anders Tegnell, epidemiologo di Stato dell’Agenzia di Sanità Pubblica e architetto della strategia anti-coronavirus, ci si basa su responsabilità individuale e alcune regole precise sugli assembramenti.
Ma attenzione: non è una situazione di “tutto aperto”, come vorrebbero indicare alcuni contestatori del lockdown, soprattutto americani. Lo ricorda il giornalista James Longman, corrispondente per ABC: «Qui non è “business as usual”. C’è in atto una sorta di lockdown volontario. Alle persone è stato raccomandato di lavorare da casa, dove possibile, e di mantenere il distanziamento sociale. Non possono visitare i parenti più anziani e, come è ovvio, devono lavarsi le mani». Anche qui «ci sono danni all’economia locale».
L’obiettivo era, ed è tuttora, «un lockdown vivibile». Intanto i ristoranti sono aperti, ma con i tavoli separati e tenuti lontani. Pochi ci vanno. Gli assembramenti sono consentiti fino a 50 persone, ma a distanza. Le scuole continuano, ma le università e i licei dal marzo hanno chiuso i battenti, continuando online. Da un certo punto di vista, è qualcosa che somiglia molto a quello che vorrebbe essere la “fase 2” italiana.
Ma funziona? È ancora presto per dirlo. Lo stesso Tegnell, su Nature, ha cercato di minimizzare la portata della sua strategia: «Si esagera nel dire quanto sia unico il nostro approccio. Il nostro obiettivo è lo stesso degli altri Paesi: ripianare la curva e rallentare il contagio per mantenere in vita il sistema sanitario». E ogni giorno deve confrontarsi, con felpa (è stato criticato per il suo look troppo casual) e camicia, con i numeri.
Al 24 aprile in Svezia ci sono stati 17.567 casi di contagio da coronavirus, con 2.152 morti. Solo 131 nelle ultime 24 ore. A confronto con lo stesso periodo dell’anno passato, in queste due settimane ci sono stati poco meno di mille morti in più. Tegnell non intende cambiare direzione (ventila l’immunità di gregge a Stoccolma per maggio) e dice: «Si registra un certo aumento dei casi», ammette, ma si spiegherebbe con un aumento dei test. E, forse, «stiamo pagando il weekend di Pasqua».
L’importante è procedere con le stesse raccomandazioni: «Gli anziani dovrebbero limitare al massimo le uscite. Tutti, evitare di viaggiare insieme. E se ci si deve incontrare, meglio farlo all’aria aperta mantenendo le distanze».
A inizio aprile lo scrittore Fredrik Sjöberg aveva pubblicato un lungo intervento su Repubblica elogiando il sistema svedese, aggiungendo che fosse molto difficile da esportare in altre realtà. «Non è cambiato molto», spiega a Linkiesta. «Adesso si discute se i ristoranti e i bar a Stoccolma siano troppo affollati o no, ma per il resto è tutto più o meno uguale». E, come è ovvio, «nessuno sa dire se questa sia la miglior strategia possibile, ma penso che stia funzionando abbastanza bene, più o meno come quella italiana».
E ricorda: «Adesso che gli altri Paesi dovranno tornare ad aprire, immagino che la Svezia possa essere un modello cui guardare. Voglio dire: quello che facciamo si basa sulla scienza, anche se preliminare, e non è diretta da politici vanesi. Non abbiamo questa tradizione». E lancia la stoccata: «Uno come Silvio Berlusconi qui sarebbe impensabile». Battute a parte, «fino a due generazioni fa eravamo tutti contadini, ognuno dipendeva dagli altri. Gran parte di questa mutua fiducia viene da lì».
Ma le critiche non mancano: l’ambasciata di Stoccolma ha bacchettato nei giorni scorsi alcuni giornali italiani per avere diffuso «una rappresentazione errata del Paese». Almeno una settimana prima 22 scienziati avevano firmato una lettera per chiedere il lockdown: a confronto con Finlandia e Danimarca le cifre dei morti svedesi sono più alte: 198 per milione d’abitanti, contro i 68 per milione dei danesi e i 31 per milione dei finlandesi (qui tutti i dati, aggiornati). Le previsioni sembrano indurre al pessimismo, almeno secondo questi grafici. Il premier Stefan Löfven è spesso bersagliato dalle critiche. Alcuni si preoccupano anche dell’immagine della Svezia all’estero.
Secondo Sjöberg «è vero, ci sono critiche sui media stranieri sul nostro metodo, ma ci sono anche incomprensioni, almeno per quanto riguarda i numeri sui decessi. Dipende da come si conta. Almeno, a confronto con la Germania, nel nostro conteggio figurano molte più anziani che muoiono fuori dagli ospedali. Al momento abbiamo circa duemila morti dall’inizio dell’epidemia, poco oltre la media annuale. Credo che per la fine della crisi la maggior parte dei Paesi avrà una proporzione simile. Altri, come gli Stati Uniti e alcuni Paesi africani, potrebbero trovarsi in situazioni peggiori».
Il resto «è un dibattito sull’economia, e qui non sappiamo ancora niente. Forse avremo una ripresa migliore, forse no. L’Unione Europea potrebbe essere già storia, anche se non penso proprio, e il modo in cui si considera l’immigrazione potrebbe cambiare molto», In ogni caso, conclude con una batttua, «noi svedesi continueremo a venire in vacanza in Italia. Non appena si potrà».