La Corte Costituzionale tedesca chiede che il suo governo e il suo parlamento si pronuncino entro tre mesi sull’acquisto di titoli dei Tesori dei Paesi dell’euro da parte della Banca centrale europea.
Si hanno due programmi di acquisto: quello precedente, il Quantitative easing (Qe), giunto a fama pop grazie al whatever it takes di Mario Draghi, aveva due vincoli. Gli acquisti non potevano andare oltre la quota che ogni Paese ha nel capitale della Banca centrale europea, e, comunque, non oltre una certa percentuale del debito pubblico di ogni Paese.
Nel secondo Qe, quello corrente, in sigla Pepp – acronimo di Pandemic Emergency Purchase Programme – i vincoli di cui sopra sembrano non esserci. Da qui la richiesta di chiarimenti della Corte costituzionale tedesca.
Si ha in Italia, ma anche in altri Paesi, una biforcazione fra chi pensa che, in seguito alla vicenda, ormai “Berlino abbia perso fiducia nell’Europa”, e chi pensa che la sentenza tedesca “non avrà alcuna conseguenza pratica”.
Intanto una premessa. Si può sostenere che l’Unione Europea sia sempre cresciuta per crisi successive. Ogni volta tutto sembrava finito, poi tutto ripartiva. Dopo la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (Ceca) – evento epocale sorto subito dopo la Seconda Guerra mondiale, si provò con la Comunità Europea di Difesa (Ced).
Questa nel 1954 fu bocciata dai francesi – allora (?) gelosi della propria proiezione militare e imperiale, ma ecco che pochi anni dopo si passò alla Comunità Economica Europea (Cee), sorta con i Trattati di Roma del 1958.
Nel 1965 la Francia, per non essere imbrigliata da Bruxelles, praticò la “politica della sedia vuota”, non presentandosi alle riunioni. Si trovò una soluzione con l’istituzione del diritto di veto dei singoli Paesi.
Negli anni successivi l’amministrazione, soprattutto in campo economico, prese il sopravvento sulla politica attraverso i regolamenti. Da qui il consolidarsi del Mercato europeo comune. In seguito, la caduta del Muro di Berlino diede luogo alla riunificazione della Germania che, a sua volta, diede luogo a due eventi di primaria importanza: la nascita dell’Euro insieme alla primazia della Banca centrale europea. E siamo all’oggi.
Si può argomentare che, “per evitare il peggio”, la Germania possa cambiare, diventando ”duttile”, in altre parole, che la crisi in corso, innescata dalla richiesta della Corte, rientri. Ecco come si potrebbe manifestare il peggio.
La Germania è trainata dalle esportazioni verso il resto del mondo, mentre i Paesi dell’Est Europa sono trainati dalle esportazioni verso la Germania. Al contrario, i Paesi del Sud sono trainati – o meglio non sono più trainati come in passato – dai consumi interni.
”L’austerità” non crea perciò tensioni particolari nei Paesi esportatori, che comunque crescono, almeno fino a quando c’è domanda estera, ma li può creare nei Paesi centrati sul consumo interno, come accade con la Francia, l’Italia, e la Spagna.
Un cocktail diversamente miscelato di populismo e sovranismo nei tre Paesi, un cocktail alimentato dalla crisi da coronavirus, potrebbe spingere verso una scelta o una minaccia appena concreta di fuoriuscita dall’euro.
Se le cose andassero così, avremmo due tipi di Paesi: quelli dell’Europa settentrionale e orientale, che rimarrebbero nell’euro, e quelli del Sud (o mediterranei) che sarebbero spinti ad adottare un nuova moneta. Ai fini dell’argomentazione non cambia nulla anche il contrario: una nuova moneta al Nord e l’euro al Sud.
Una siffatta divisione sarebbe dirompente. Non appena gli investitori iniziassero a temere una svalutazione dell’euro del Sud, le attività denominate in euro del Nord diventerebbero immediatamente più attraenti.
I sistemi bancari dei paesi dell’euro del Sud imploderebbero per la fuga di capitali. L’inondazione di capitali nell’Europa centrale farebbe aumentare il valore dell’euro del Nord, danneggiandone le esportazioni.
Stabilizzatosi l’euro del Sud a un tasso di cambio più basso, gli investitori dei Paesi dell’euro del Sud vorranno i titoli di stato dell’euro del Nord come assicurazione contro un ulteriore deprezzamento della propria moneta.
Come copertura contro un’ulteriore svalutazione, gli investitori di euro del Sud sarebbero disposti ad accettare rendimenti molto bassi sulle loro attività in euro del Nord, così come oggigiorno gli investitori europei detengono attività svizzere a basso interesse e i Paesi asiatici detengono buoni del Tesoro statunitensi a basso rendimento.
I Paesi dell’euro del Nord potrebbero a loro volta investire i proventi delle vendite delle loro attività finanziarie “sicure” all’estero, andando alla ricerca di rendimenti più elevati, ciò che avverrebbe comprando delle attività estere.
Per ottenere questi maggiori rendimenti sugli investimenti esteri, i paesi dell’euro del nord correrebbero il rischio che i loro investimenti esteri possano perdere valore a causa di uno shock valutario o di altre crisi.
Perciò i Paesi dell’euro del Nord resisterebbero a un simile accumulo di attività esterne, lasciando la loro valuta apprezzarsi, almeno fino a quando essa non generi un impatto negativo permanente sulle loro esportazioni.
La minaccia della Francia e/o dell’Italia e/o della Spagna di lasciare l’euro potrebbe spingere la Germania e i suoi alleati ad accettare una condivisione dei rischi per evitare l’uscita, ciò che avverrebbe con l’emissione di un debito comune, e/o di politiche fiscali espansive.
Naturalmente resterebbe aperta l’opzione della politica ultra espansiva della Banca Centrale Europea. Aiuta nella scelta europeista della Germania anche la “scusa” del coronavirus, come causa di forza maggiore, un evento eccezionale di provenienza esterna, per spingere in questa direzione.