Guida galattica per europeisti Tutto quello che si sa finora sul Recovery fund

I 27 leader europei sono d'accordo sul Fondo per la ripresa, ma litigano sul come farlo. La presidente della Commissione ha detto che sarà di «migliaia di miliardi di euro» e il commissario Gentiloni ha promesso che arriverà entro settembre

Pixabay

Il 9 aprile l’Eurogruppo (la riunione informale dei 19 ministri dei paesi che adottano l’euro) si è messo d’accordo su un pacchetto da 540 miliardi di euro: è la tripletta delle risorse che saranno messe a disposizione attraverso il Mes, la Bei e il fondo Sure, di cui abbiamo parlato qui. Non si può dire, insomma, che l’Unione non si stia dando da fare, nei limiti voluti dai Trattati. Ma già da quella riunione si preparava la discussione su un altro strumento, che sarà necessario per la ripresa economica: il Fondo europeo per la ripresa, o Recovery Fund.

L’argomento, ovviamente, è controverso: si tratta dell’ennesima mutualizzazione del debito, che è il problema che sta alla base degli eurobond. Non a caso, l’Eurogruppo non ha affrontato la discussione, passando la palla al Consiglio Europeo del 23 aprile (siete confusi? Abbiamo preparato una delle nostre guide galattiche solo per questo).

E se è vero che i leader hanno approvato il pacchetto Mes-Bei-Sure, che sarà operativo dal 1 giugno, il Consiglio Europeo non ha veramente preso una decisione, come un po’ tutti si aspettavano. Al contrario, ha rimbalzato la palla alla Commissione Europea, che avanzerà una proposta al prossimo Consiglio Europe il 6 maggio, e si è concluso senza una dichiarazione congiunta ma solo con un intervento del suo presidente, Charles Michel.

C’è già stata un’emissione di debito comune. L’ha ricordato Paolo Gentiloni, già Presidente del Consiglio e ora Commissario agli Affari Economici. L’affermazione è stata scrupolosamente verificata da Pagella Politica, l’affidabile sito di fact-checking. Nel pieno della crisi energetica scoppiata nel 1973, l’allora Comunità Economica Europea (Cee) istituì nel 1975 il cosiddetto Community Loans Mechanism (Clm, in italiano Meccanismo di prestito comunitario) per affiancare un altro piano di prestiti inter-europeo creato nel 1971, l’European medium-term financial assistance facility (Mfta in italiano Fondo europeo di assistenza finanziaria di medio periodo).

Un po’ come il MES (che, lo ripetiamo, non funziona come dicono molti esponenti politici), il Clm permetteva all’Unione europea di indebitarsi sul mercato del credito ai paesi che ne facessero richiesta. Il valore del prestito era di massimo tre miliardi di dollari (che allora valevano come quindici miliardi di oggi), garantiti sia dal budget europeo (diversamente dal Mes) che da delle quote versate dai vari paesi in base alla loro ricchezza e popolazione.

A fare richiesta negli anni Settanta furono Irlanda e Italia (che, da sola, chiese l’equivalente di 2,4 miliardi di dollari: uno dal Clm e uno dal Mfta) e, negli anni Ottanta, da Francia e Grecia. Anche allora erano previste delle condizionalità:

«Il Consiglio aveva stabilito che le spese totali dello Stato italiano a tutto il 1976 dovevano essere limitate a 39.700 miliardi di lire, mentre il “disavanzo delle operazioni del Tesoro” non doveva superare i 13.800 miliardi di lire, “facendo ricorso, se occorre, ad un aumento della pressione fiscale”»

I problemi del debito comune. Diversi economisti, soprattutto italiani, auspicano il completamento dell’Unione monetaria. Ma la mutualizzazione del debito è piuttosto delicata. Innanzitutto, bisogna tenere presente due cose: Mes, Sure e Bei sono già delle forme di debito comune europeo, come sarà il Recovery Fund, e cioè degli eurobond “temporanei”.

Inoltre, debito comune significa trasferire risorse dai paesi più ricchi a quelli di periferia: questo perché ancora oggi la Germania paga rendimenti negativi sui suoi titoli, mentre l’Italia paga un interesse di quasi il 2%. Emettere titoli comuni significa che avrebbero un tasso di interesse più basso di quello italiano (e cioè sarebbe un risparmio per noi) ma ovviamente sarebbe anche più alto per paesi come Germania Olanda e Francia, che pagano tassi prossimi allo zero o addirittura sotto.

Ammettiamo quindi che l’Europa emetta debito comune: come li distribuisce? Se li desse a tutti in maniera proporzionale, è come se l’Italia avesse emesso i suoi titoli ma a un tasso inferiore. Se invece se ne vogliono dare di più ai paesi di periferia è chiaro che si alza il costo per i paesi più ricchi.

Infine, c’è anche il problema della responsabilità del debito: se un paese non riesce a restituirlo (cioè fa default), chi paga? La risposta non è “tutti gli altri paesi, in misura proporzionale”, ma è quasi scontato che i paesi più ricchi, Germania in testa, sarebbero chiamati a risarcire immediatamente i creditori e poi, piano piano, a farsi restituire i soldi dal paese in default.

Le proposte. Il premier Conte ha negoziato in modo piuttosto maldestro e la sua linea (gli eurobond) non è stata accolta. Al contrario, l’Italia si è accodata alla proposta spagnola e francese per un fondo con capacità di millecinquecento miliardi di euro. La richiesta, che dovrà essere negoziata e sicuramente incontrerà la resistenza dei quattro frugali, è di erogare prestiti a lunghissima scadenza o addirittura sussidi (in inglese grants: prestiti a fondo perduto dei quali tutti i paesi europei pagherebbero solo gli interessi anno per anno).

I paesi del nord sono contrari: vorrebbero solo dei prestiti (loans). La Francia, da sempre orientata al compromesso, ha già suggerito che si tratti di un misto: il presidente Macron ha dichiarato che non basteranno i prestiti e per non aumentare il debito dei paesi i sussidi saranno necessari. Anche la Germania sta a metà: non impazzisce per i grant, ma lunedì 20 la cancelliera Angela Merkel ha fatto delle notevoli aperture. 

A che punto siamo. Qualcosa sicuramente c’è: Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha dichiarato che si tratta di un fondo non di miliardi ma di «migliaia di miliardi di euro». C’è chi parla di addirittura duemila miliardi. Il Fondo, poi, sarà garantito da un’espansione del budget europeo, che a oggi ammonta solo l’1% del Reddito nazionale dell’UE, ma spalmato su 7 anni (in confronto, quello italiano ammonta al 45% del Pil ogni anno).

È praticamente certo che raddoppierà, come ha anche dichiarato la presidente della Commissione e come sostiene Gentiloni, si vogliono rendere disponibili almeno 1500 miliardi per settembre: «non possiamo aspettare due anni, come è successo tra la fine della Seconda guerra mondiale e il Piano Marshall».

X