Tra i pochi vantaggi offerti dall’essere al centro di una pandemia globale c’è la possibilità di mettere a confronto le nostre reazioni, analisi e commenti con quelli degli altri paesi. In Italia, per esempio, i discorsi di Angela Merkel ai tedeschi sul Coronavirus sono stati lodati e invidiati, portati a esempio di come si comporta un leader razionale, competente e responsabile, capace di rivolgersi ai cittadini trattandoli da adulti.
Sul settimanale Der Spiegel, in un commento intitolato «Non siamo i figli della signora Merkel», Nikolaus Blome se la prende invece proprio con l’atteggiamento paternalistico del governo, rilancia le critiche del liberale Christian Lindner («La cancelliera ci parla come si parla a dei bambini»), protesta che Merkel mostra di non fidarsi dei tedeschi, dal momento in cui frena sulle misure di allentamento del lockdown (peraltro assai più blando del nostro).
Pensate cosa direbbe qui, non solo dinanzi a misure restrittive assai più rigide e assai più durevoli, ma soprattutto a proposito di paternalismo, se avesse visto le disposizioni governative in tema di amici veri e presunti, affetti stabili e precari, congiunti che si possono incontrare ma non abbracciare e incontri occasionali che possono capitare ma sarebbe meglio di no, dipende, e comunque vanno autocertificati: quante volte, figliolo?
La questione della fiducia è centrale, evidentemente, in entrambi i sensi: la fiducia che il governo mostra di avere nei cittadini, e viceversa. Ma anche quella che l’uno e gli altri mostrano di meritarsi. Perché qui, purtroppo, gli errori costano vite, decine di migliaia di vite.
È però significativo che l’articolo citi come esempio dell’atteggiamento contrario la scelta della stessa Merkel di accogliere centinaia di migliaia di profughi, nella crisi siriana del 2015, con quel celebre «Wir schaffen das» («Ce la faremo») che era per l’appunto il massimo investimento di fiducia nel proprio popolo che un politico potesse fare, a suo rischio e pericolo. E infatti a quella scelta – e a quella frase in particolare – Merkel è stata impiccata per anni.
In un mondo in cui tutti i leader di governo, di destra e di sinistra, pensano solo a come erigere muri, chiudere porti, arrivando persino ad accordarsi con torturatori e aguzzini – e a finanziarli generosamente – purché tengano i migranti ben chiusi nei loro lager, la scelta della Cancelliera non poteva essere più controcorrente (termine assai abusato, che tuttavia qui, per una volta, mi sembra però decisamente al suo posto).
In molti, anche in Italia, non hanno mancato in questi anni di additare Angela Merkel come perfetta incarnazione di quel politico distaccato dai sentimenti popolari che finisce per alimentare i successi dei populisti. Quelli che giusto l’anno dopo, nel 2016, cominciavano a prendere il sopravvento in Gran Bretagna (con la Brexit) e negli Stati Uniti (con l’elezione di Donald Trump).
Ebbene, mentre la disastrosa gestione dell’epidemia comincia a far calare gli indici di gradimento dei populisti al governo, da Johnson allo stesso Trump, in Germania si parla apertamente della possibilità di un quinto mandato consecutivo per la cancelliera. Proprio così: quinto. Nonostante sia alla guida del governo tedesco dal novembre 2005, gli ultimi sondaggi attribuiscono al suo partito, la Cdu, uno stratosferico 38 per cento.
Quale sia la lezione per l’Italia, e in particolare per la sinistra italiana, che in otto mesi di governo non ha ancora trovato il coraggio di cambiare nemmeno una virgola degli infami decreti sicurezza voluti da Matteo Salvini, per questa volta, lascerò all’intelligenza del lettore.