Stupisce come Anwar Raslan nel febbraio 2015 si sia presentato in una stazione di polizia di Berlino per chiedere protezione dalla minaccia di agenti dell’intelligence siriana e russa. E come Eyad al Gharib abbia candidamente ammesso, durante l’interrogatorio con le autorità tedesche per l’ottenimento dell’asilo nel 2018, di aver arrestato manifestanti e averli condotti nelle prigioni della famigerata sezione 251 dei servizi segreti a Damasco.
Sono i dettagli che emergono dai racconti della stampa tedesca, ora che i due, un colonnello dell’intelligence siriana di 57 anni e un suo sottoposto di 43, siedono al banco degli imputati a Coblenza, nella Germania centrale. È il primo processo dall’inizio della guerra in Siria nel 2011 contro responsabili dell’apparato di repressione del regime di Bashar el Assad.
«Sono stata sorpresa in bene. Sapevo che in Germania avevano aperto un’inchiesta, ma ci credevo poco. Finalmente si è portato un caso a livello di processo», ci dice Carla Del Ponte, magistrato svizzero, dal 1999 al 2007 procuratrice capo del Tribunale penale internazionale dell’Aia per i crimini di guerra nell’ex Jugoslavia e il genocidio in Ruanda, accusatrice di Slobodan Milosevic e protagonista in quegli anni anche di controversie e polemiche.
Dal 2011 al 2017, Del Ponte ha fatto parte della commissione internazionale dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani che ha condotto indagini proprio sulle violazioni commesse durante la guerra in Siria. E dalla quale è uscita nel mezzo di disaccordi, accusando il Palazzo di Vetro e la comunità internazionale di mancanza di volontà politica.
«Il mio dito resta puntato ancora oggi – ci dice al telefono dalla Svizzera – L’Onu è stata veramente una delusione tremenda sul profilo giustizia internazionale delle vittime. Adesso poi non ne parliamo, con il virus si occupano d’altro. Non parliamo neppure del Consiglio di Sicurezza, in cui non si muove nulla con il diritto di veto della Russia che sostiene la Siria, seguita dalla Cina. Nemmeno il segretario generale si è dato da fare affinché le vittime siriane ottenessero giustizia. Poi le cose cambiano, e speriamo che la Germania aiuti a ottenere qualcosa».
La giustizia internazionale secondo Del Ponte dovrebbe servire come messaggio di prevenzione «per i dittatori e i presidenti e tutti gli altolocati, affinché non restino impuniti». E “Gli Impuniti – I crimini in Siria e la mia lotta per la verità” è il titolo del suo ultimo libro (Sperling & Kupfer) in cui racconta gli anni alla commissione dell’Onu. «La giustizia serve alle vittime, che l’aspettano, ne hanno diritto, come abbiamo visto sia per il Ruanda sia per la Jugoslavia».
Raslan e Al Gharib, i due imputati di Coblenza, «non sono i maggiori responsabili di tutti i crimini commessi dall’apparato del presidente Assad, però è un inizio che trovo molto importante.
Quando ci sarà fra qualche anno la sentenza, sperando che abbiano abbastanza prove per ottenere la condanna, c’è da sperare che qualche Stato del Consiglio di Sicurezza presenti di nuovo una risoluzione per portare davanti a una corte gli ali responsabili, tra cui Assad».
Il processo che si è aperto in un tribunale regionale tedesco è reso possibile perché la Germania attua il principio di giurisdizione universale: chi si macchia di crimini di guerra e contro l’umanità può essere perseguito sul territorio nazionale anche se non tedesco.
Scosse elettriche sul corpo, prigionieri appesi per i polsi al soffitto per ore, picchiati fino a perdere conoscenza, sbarre di ferro utilizzate per spaccare le gambe agli attivisti arrestati e impedire loro di tornare a manifestare, ai tempi in cui la guerra in Siria era ancora una rivolta popolare.
Gli inquirenti hanno raccolto i dettagli su torture e abusi che accadevano regolarmente nelle prigioni dell’unità 251 a Damasco. Anwar Raslan è accusato di crimini contro l’umanità, stupro, violenza sessuale aggravata e 58 omicidi tra il 29 aprile 2011 e il 7 settembre 2012, periodo in cui sotto la sua supervisione in quelle celle sarebbero state torturate oltre 4.000 persone.
Eyad Al Gharib è accusato di aver partecipato a quelle torture e all’uccisione di 30 cittadini. In aula avrebbero dovuto testimoniare sei siriani finiti nell’orrore di quella prigione, ma a causa delle restrizioni di viaggio imposte dalla diffusione del coronavirus saranno soltanto tre.
I due imputati, che pensavano di poter scampare alla giustizia per il fatto di aver disertato e voltato le spalle al regime, sono arrivati come migliaia di altri siriani in Germania come rifugiati, senza neppure cambiare il proprio nome. Il colonnello Raslan, arrestato nel 2019, è stato riconosciuto per strada da una avvocato per i diritti umani, rinchiuso in cella per cinque anni a causa della sua attività.
A rafforzare le indagini degli inquirenti ci sono oltre 2.800 segnalazioni arrivate da siriani che tra il 2015 e il 2017 hanno attraversato il mare e trovato rifugio in Germania, in fuga dagli orrori di un conflitto che ha causato 400mila morti secondo le Nazioni Unite e strappato dalle loro case oltre undici milioni di persone tra sfollati interni e profughi.
La guerra più cruda e terribile, sostiene Del Ponte: bambini uccisi, attacchi con l’artiglieria contro ospedali, contro civili in coda per il pane. Oggi però «di violazione dei diritti umani non se ne parla più. La violazione diventa la regola. Oggi proprio non c’è volontà politica. Sono subentrate altre priorità politiche. Infatti al potere chi va? La destra, il populismo».
La Siria, dice, è soltanto uno dei tanti esempi di regimi impuniti, poi ci sono la guerra in Yemen, il Venezuela… «La speranza non la perdo comunque. Il messaggio in arrivo dalla Germania è quello di tutti questi tribunali: gli alti criminali presto o tardi passeranno in giudizio».