Attenzione a Fofò DjIl sottovalutato Alfonso Bonafede è il ministro più efficace del governo Conte. Si salvi chi può

Nella notte tra giovedì e venerdì, l’improbabile Guardasigilli dei Cinque Stelle ha riformato per la seconda volta il processo al tempo del Covid, facendo arrabbiare anche i magistrati. Liquidato come un avvocaticchio, anche da questo giornale, in realtà è stato capace di varare molte riforme forcaiole e di cambiare in peggio la giustizia italiana. Ricordiamoci che Conte è una sua creatura, e preghiamo

Nella notte tra giovedì e venerdì, il governo Conte ha segnato un altro record del grottesco: quello di varare una legge per poi cambiarla dopo un paio di ore con un’altra di segno opposto. Si tratta, per essere precisi, del comma 12 bis dell’articolo 83 del Decreto Legge Cura Italia.

Un articolo chilometrico che si dipana per una trentina di commi, una lenzuolata con cui il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha pensato di governare l’emergenza Covid nei tribunali, dal rinvio delle udienze al funzionamento a scartamento ridotto degli uffici, fino alla celebrazione dei pochi processi indifferibili.

Ebbene, contrariamente a ciò che si può pensare, il comma 12 bis consegna alla storia e presumibilmente a un avvenire politico uno dei più improbabili (con Toninelli, Azzolina e Lezzi) ministri dell’esercito pentastellato.

Con quel comma, Bonafede aveva introdotto la modernità del processo penale telematico nell’asfittico mondo della giustizia italiana. Il processo dietro un computer è una novità che è stata da sempre considerata un’aberrazione orwelliana incompatibile con la drammaturgia del rito. Ma il Guardasigilli è andato avanti incurante delle proteste ma cercando comunque di sentire tutti.

Non ha avuto timore a ricorrere a un “papocchio“: dopo avere stabilito che sarà il giudice a decidere di “dematerializzare” il processo spedendo tutte le parti e i testi dietro i computer in sedi separate e rigorosamente lontani dalle aule, con un ritocco al primo Cura Italia di marzo e dopo poche ore dalla conversione in legge ha varato un altro decreto legge (30 Aprile 2020 numero 28) con cui ha cambiato  la legge e ha di fatto abrogato il processo penale telematico con la formula cara al governo del “salvo intese“ tra le parti. Il processo dietro il computer adesso si potrà fare solo se sono d’accordo il pubblico ministero e la difesa.

Con la prima versione, Bonafede aveva sollevato per l’ennesima volta l’ira degli avvocati italiani mentre  con l’ultimo cambio di marcia ha fatto arrabbiare l’Associazione Nazionale Magistrati al gran completo portando sull’orlo di uno scontro irreparabile avvocatura e magistratura.

Quest’ultima non ne vuole sapere di tornare all’ordinario regime in condizioni di pericolo, in tribunali come quelli di Roma e Milano vecchi, insicuri e ad alto rischio sanitario.

Gli avvocati, una delle categorie più colpite dalla crisi, non vedono l’ora di ricominciare a esercitare la professione magari con ritmo ridotto, ma non tollerano più la paralisi.

Da questa situazione esce vincitore Alfonso Bonafede, mai preso sul serio e irriso come un ex avvocaticchio ignorante (anche da questo giornale, ahem), ma l’uomo è stato capace di incidere e di varare una serie di riforme, una più forcaiola dell’altra, e di cambiare il volto della giustizia italiana. In peggio, certo, ma l’ha fatto in coerenza ai suoi pessimi intenti.

Dalla legge Spazzacorrotti con cui ha equiparato il corrotto al mafioso, al blocco della prescrizione, all’indurimento delle misure carcerarie e ora a questa specie di Panopticon processuale (metafora concentrazionaria ideata dal filosofo Bentham), l’ex disc jockey di Mazara del Vallo ha lasciato il segno come mai nessuno dei suoi predecessori se non andando a scomodare i giganti come Rocco e Vassalli. Ma, attenzione, Bonafede ha pronto anche un disegno di legge di riforma del codice di procedura penale.

Non solo: come i grandi politici dell’era democristiana è stato anche capace di smentire se stesso e di tornare sui suoi passi per guadagnarsi nuovi alleati tra gli ex nemici avvocati che oggi per bocca del leader dell’Unione delle Camere Penali Giandomenico Caiazza rivendicano l’approccio morbido con lui.

Lo avevano descritto (e qualche povero sprovveduto ancora insiste) come un servo sciocco dei magistrati, ma Fofò Dj sa che le toghe con lui hanno un debito di riconoscenza per l’indulgenza mostrata all’epoca del rovinoso scandalo Palamara, archiviato con una generale autoassoluzione delle varie correnti e con l’accantonamento del minacciato sorteggio per l’elezione al Csm.

Alfonso Bonafede, inoltre, ha il merito di aver consegnato al Paese il più improbabile dei premier repubblicani, Giuseppe Conte, ma da ora potrebbe giocare in proprio: chi lo ha conosciuto durante le snervanti trattative sulla giustizia ha capito che non è un mestierante della politica. Il futuro è suo, ma intanto ha riportato la giustizia al peggiore passato.

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