«Un incontro tra un visionario digitale onnipotente e prodigioso da una parte…e Mark Zuckerberg dall’altra» scherza un giornalista di Politico.eu su Twitter per descrivere la diretta Youtube di lunedì tra il commissario europeo al mercato interno, Thierry Breton, e il fondatore di Facebook.
Una battuta che riassume il pensiero degli addetti alla bolla di Bruxelles sul lavoro del francese, dopo soli pochi mesi diventato la stella nascente della Commissione europea.
E dire che fino all’anno scorso, Breton era amministratore delegato della compagnia di servizi IT Atos, di cui ha raddoppiato in dieci anni la cifra d’affari, quando una chiamata dall’Eliseo ha cambiato per l’ennesima volta, la sua carriera.
Nell’ottobre 2019, il presidente Emmanuel Macron, lo ha scelto come candidato francese “di ripiego” per la nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen, dopo che l’europeissima Sylvie Goulard era stata bocciata dal Parlamento europeo nell’audizione decisiva per ratificare la sua nomina.
Gli eurodeputati delle commissioni di mercato interno e Difesa a scrutinio segreto avevano votato ufficialmente contro Goulard (82 no, 29 sì) per l’indagine in corso sulla decisione della francese di usare fondi dell’Europarlamento per pagare un suo assistente. In realtà il Partito popolare europeo e i Verdi si sono vendicati per il veto di Macron sul nome di Manfred Weber come presidente della Commissione europea.
Così, quasi per caso, il ceo Breton si è ritrovato a Bruxelles, a capo di uno dei portafogli più ampi a seno della Commissione: mercato interno, digitale, e industria della difesa. Per fugare ogni speculazione su potenziali conflitti d’interesse, Breton ha annunciato subito agli europarlamentari che avrebbe ceduto tutte le azioni della Atos, in caso di nomina a commissario. Valore: 34 milioni di euro.
Nell’audizione per la sua investitura si è mostrato preparato nel rispondere alle 3 ore di domande degli eurodeputati. Un approccio più dinamico anche se meno diplomatico rispetto all’audizione di Gentiloni.
In realtà di digitale, politica e tecnologia, il 64enne ha molta esperienza. Negli anni ’80, partecipò alla creazione della mini-Silicon Valley francese “Futuroscope,” mentre nel 1997 fu nominato a capo di Thomson Multimedia, ricollocata sotto la sua guida nel settore multimediale.
Agli inizi del nuovo millennio, fu ancora lui a risanare la Telecom francese – allora sull’orlo della bancarotta a causa della bolla speculativa di Internet – e a traghettarla verso il futuro puntando sul mercato dell’Adsl e della telefonia mobile. Un miracolo che gli è valso il titolo di turnaround whiz (mago di inversione di tendenza)da parte del Wall Street Journal.
Dal 2005 al 2007 accetta di diventare ministro dell’Economia, negli ultimi due anni da presidente della Repubblica di Jacques Chirac, suo riferimento politico. Da ministro, Breton sembrava guidare il palazzo di Bercy come fosse un’altra impresa da risanare. In soli due anni riuscì a ridurre il debito pubblico di ben tre punti, grazie ad un ambizioso piano di privatizzazioni e tagli ai costi dell’amministrazione.
A chi metteva in dubbio le sue politiche del rigore, lui rispondeva citando studi dei colleghi di Harvard, università dove ha insegnato per diversi mesi: «Un debito superiore al 90% del Prodotto interno lordo ha un impatto duraturo sul potenziale di crescita di un paese».
Anche come commissario europeo, Breton ha rivoluzione la gestione precedente. Da una parte, gli anni di esperienza ministeriale nella burocrazia francese – modello all’immagine del quale è costruita l’amministrazione della Commissione – e il supporto di un capogabinetto, l’ex direttore generale della Commissione Valere Moutarlier (che ben conosce le dinamiche di Bruxelles) giocano già a suo favore. Dall’altra, è la sua esperienza nel settore privato sembra fare la differenza. L’ex Ceo di Atos ha infatti portato del pubblico un management tipico del settore privato, pragmatico, che punta ai risultati e all’efficienza, al get it done.
La fantasia la mette solo nei romanzi di fantascienza. Come il best-seller “Softwar – La guerre douce” che scrisse a soli 29 anni nel 1984. Un thrilles su un virus informatico usato come arma di spionaggio della guerra fredda. Quasi un’anticipazione dell’attuale cyber war tra grandi potenze.
Lo sguardo verso Berlino è una costante nella strategia del Breton politico quanto in quella di Breton Ceo: nel 2010 ha guidato infatti l’acquisizione da parte di Atos di una filiale informatica della tedesca Siemens con un accordo di 850 milioni di euro che mirava a creare un vero e proprio campione europeo del settore informatico.
I contatti con la Germania e quelli più personali con Macron (con cui pare il Commissario intrattenga regolari scambi telefonici), hanno fatto guadagnare a Breton il sostegno di Parigi e Berlino che vogliono una politica industriale comunitaria a favore della creazione di campioni europei in grado di contrastare la concorrenza asiatica e americana.
Non a caso lo scorso marzo, il Commissario ha presentato la nuova Strategia industriale europea fondata sui pilastri della digitalizzazione e dell’ecologia e accolta con favore da parte di diversi stati membri, sottolineando l’importanza di creare dei giganti dell’ingegneria europea.
Anche nella crisi sanitaria Breton ha trovato uno spazio politico, soprattutto per la sua capacità di identificare e riparare le lacune del sistema di produzione europeo. Fu proprio lui a pressare Francia e Germania affinché abbandonassero le iniziali e temporanee restrizioni all’export sui dispositivi sanitari verso l’Italia che ne aveva bisogno.
Così come con astuzia politica, Breton ha usato il palcoscenico mondiale del colloquio via Youtube con Mark Zuckerberg per risaltare come il campione dell’europeismo contro i Big Tech. Senza cercare uno scontro diretto ha fatto però capire che le multinazionali tecnologiche dovranno fare molto di più per aumentare la lotta alla disinformazione e limitare il loro monopolio di mercato. O la Commissione regolamenterà.
Negli ultimi cinque anni la commissaria europea più conosciuta è stata la danese Margrethe Vestager, confermata alla Concorrenza e promossa come vice presidente anche per la sua intransigenza nel multare i comportamenti scorretti dei giganti della Rete. Ma con la pandemia e le frontiere chiuse, la commissaria ha trovato meno spazio, costretta solo ad approvare gli aiuti di Stato dei Paesi membri. Gli stessi che un tempo condannava.
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