A pochi giorni dalle presidenziali del 10 maggio, i polacchi non sanno ancora se voteranno. In ogni caso non lo faranno ai seggi: la pandemia lo rende impossibile. Se mai sceglieranno il presidente per posta. La legge che disciplina questo rito alternativo non è pronta, però. Pendola tra Sejm e Senato, i due rami del Parlamento. Da qui l’incertezza.
Manca la cornice legale, ma il governo è ugualmente al lavoro per stampare le schede e organizzare l’intero processo, con Poczta Polska – le Poste polacche – sotto pressione per questa corsa contro il tempo, per molti incostituzionale. L’ex premier Donald Tusk, oggi presidente del Partito popolare europeo, ha dichiarato che boicotterà le elezioni. Sulla stessa scia Małgorzata Kidawa-Błońska, la candidata del centro liberale.
Si poteva adottare lo stato di calamità previsto dalla Costituzione e posticipare di qualche mese la tornata, magari, ma il premier Mateusz Morawiecki e Jarosław Kaczyński, leader storico di Diritto e Giustizia (PiS), la forza populista egemone nella coalizione, vogliono il voto. Adesso. Ufficialmente spiegano che una Polonia senza presidente non può funzionare. Nella realtà, sanno benissimo che il loro uomo, il presidente uscente Andrzej Duda, eletto nel 2015, potrebbe confermarsi a palazzo senza ballottaggio. Questo almeno rivelano i sondaggi.
La presidenza, in Polonia, dispone di un veto forte sulle leggi del Parlamento, ribaltabile solo con i due terzi dei voti del Sejm, la camera con poteri maggiori. Il PiS non vanta questa maggioranza. Un presidente non ostile, qual è Duda, è fondamentale per l’attuazione dell’agenda di governo, ispirata da quella di Viktor Orbán: accentramento dei poteri, uso propagandistico della radio-tv di pubblica, nazionalismo e welfare generoso. Quest’ultimo, in particolare, è la trave portante del consenso. Grazie all’ottimo passo dell’economia, in questi anni Varsavia ha erogato assegni familiari e altri benefit rompendo con la prassi dei precedenti esecutivi, poco attenti al sociale.
Duda è avanti nei sondaggi, ma lo scenario futuro non è dei migliori. Causa pandemia (12,640 casi e 624 decessi a oggi), per la prima volta dal 1991 la crescita sarà inferiore a zero, di almeno due punti. Il governo sta cercando di coprirsi con stimoli per le aziende e ammortizzatori per i lavoratori, ma potrebbe non bastare. Recessione, malcontento, perdita di consenso: meglio allora blindare Duda, se mai più avanti le cose si complicassero. Con un voto posticipato e un altro vincitore, non allineato, il veto presidenziale potrebbe essere un grosso ostacolo.
Fino a un mese fa la maggioranza voleva tenere le presidenziali alla maniera di sempre: seggi, code, urne. Poi ha introdotto il voto postale. Licenziata dal Sejm il 7 aprile, la legge è ferma al Senato. Lo controllano per un pugno di voti le opposizioni, e volutamente rallentano l’iter. Il testo tornerà solo tra qualche giorno al Sejm, che di certo lo riapproverà come da prima lettura. E poi, eventualmente, tutti al voto.
Tra chi esprime dubbi sulla data del 10 maggio c’è la chiesa cattolica, che ha un peso importante nella società polacca. La Conferenza episcopale ha diffuso una nota in cui sprona maggioranza e opposizione al compromesso. È possibile che Jarosław Kaczyński non ne tenga conto, nonostante il rapporto quasi organico tra il PiS e le gerarchie ecclesiastiche. «Poiché il governo ha concesso alla chiesa generosi aiuti finanziari, Kaczyński si ritiene legittimato a non ascoltare i vescovi, soprattutto se la loro voce diventa scomoda», spiega il teologo Jarosław Makowski.
I prossimi giorni saranno decisivi. Corre voce di un negoziato in extremis tra maggioranza e opposizione per spostare il voto al 23 maggio, ma è solo un’ipotesi. Il momento chiave, salvo colpi di scena, sarà il voto finale del Sejm sulla legge: ci saranno franchi tiratori?
Mentre si discute di tutto questo, si apre un nuovo scontro tra Varsavia e Bruxelles sulla giustizia. Per la Commissione Ue, il governo polacco l’ha trascinata nella sua orbita falsando l’equilibrio tra poteri con leggi molto dubbie. Una è quella che istituisce una Camera disciplinare per controllare la Corte suprema. Doveva essere smantellata, ma il governo ha glissato.
E così Bruxelles ha aperto una nuova procedura d’infrazione ai sensi dell’articolo 7 del Trattato europeo: la forma più grave di “cartellino giallo”. Può costare la sospensione dei diritti di voto in Consiglio, ma per arrivare a questa soluzione servono tempo e unanimità. Non facile.
«Nella peggiore delle ipotesi, il governo potrà sistemare la vertenza facendo concessioni, con costi politici ridotti. E comunque non è una priorità. Il focus è sulle elezioni», riflette Wojciech Przybylski, direttore della rivista Visegrad Insight e della fondazione politica Res Publica Nowa di Varsavia.
Jakub Majmurek, un intellettuale della sinistra polacca, molto attivo sulla rivista Krytyka Polityczna, guarda invece al dopo-voto, sempre ammesso che si tenga, e lo fa con preoccupazione. «Se Duda vincesse e se l’opposizione contestasse il risultato, parlando di elezioni non trasparenti, il governo potrebbe accusarla di attentare alla legittimità democratica e approvare uno stato d’emergenza per impedire proteste e critiche.
La Polonia andrebbe a senso unico verso la “democrazia illiberale”, se ciò succedesse». Ma appunto: che succederà? Si voterà il 10 maggio o più avanti? Per posta o ai seggi? I polacchi, che in queste ore escono dal lockdown, aspettano di sapere qualcosa.