Nel mondo diviso in due emisferi rivali, ciascuno dei quali concentra le sue forze per arrivare un minuto prima a scatenare la distruzione dell’altro, l’Europa, condannata dalla sua posizione geografica e dalla sua disgregazione politica ad esser la terra di nessuno tra i due eserciti che si fronteggiano, sembra ormai rassegnata ad aspettare passivamente che il suo destino da altri deciso, sia di salvezza o sia di distruzione, si compia. I due potenti avversari, in tutto il resto discordi, almeno su un punto sono d’accordo: nel voler che il campo centrale di battaglia, destinato ad attirare su di sé il massimo degli orrori, sia l’Europa; venga la falce da oriente o da occidente, il campo da falciare sarà sempre questo, che fino a ieri fu adorato come il giardino del mondo: l’Europa.
Un tempo l’Europa, consapevole di esser l’arbitra della pace mondiale, poté, nella certezza di voler la pace e di aver forze sufficienti per mantenerla, lavorare tranquillamente per lunghi periodi al progresso della civiltà. Ma oggi sente che guerra e pace non dipendono più da lei: da arbitra delle contese del mondo, è diventata ormai oggetto delle contese che dividono i dominatori del mondo.
Questo sentimento di impotenza e di fatalismo sfiduciato avvelena e paralizza ogni tentativo di ripresa europea: la vita politica ed economica degli Stati europei è sospettosa ed agitata nell’interno, come sempre avviene alla vigilia di una guerra. L’Europa, quasi rispecchiando in se stessa la più vasta crisi del mondo, è divisa in due gruppi di Stati ugualmente irrequieti e instabili; quelli nei quali la libertà politica è stata soffocata per poterli allineare come un bastione alla cui ombra si preparan le armate, e quelli nei quali la democrazia sopravvive soltanto come meccanismo formale, ma la psicosi guerresca trasforma ogni contrasto di opinioni in accuse reciproche di lesa patria, ed è sfruttata per reprimer come tradimento di quinte colonne ogni voce che si levi contro i privilegi e che invochi la giustizia sociale.
L’Europa dimostrerà di non esser finita solo se riuscirà ad aver fiducia nella sua unità; solo se riuscirà, con un supremo gesto di decisione, a spezzare quest’incubo disgregatore e a risvegliarsi unita. Bisogna che i popoli divisi, per tornare ad essere una forza che conti, sentano la unità della patria europea, e in essa ricompongano ad armonia questa meravigliosa varietà di vocazioni diverse e complementari, dalla quale è sbocciata in questo continente la civiltà del mondo.
Tutti i problemi dei popoli europei, oggi disorientati e sfiduciati, sono problemi di unificazione: per mettere in valore le immense risorse di questo continente è indispensabile il crollo delle barriere doganali, omogeneità monetarie e coordinazione di economie; per correggere gli squilibri demografici, le frontiere debbono aprirsi alla libera emigrazione: solo nel vasto orizzonte europeo i problemi della disoccupazione e della ricostruzione potranno trovare soluzioni definitive; ed anche per istituire una difesa armata indipendente, che non sia avanguardia o sentinella avanzata degli eserciti invasori, ma sia pronta a respingere dall’Europa ogni invasione, da qualsiasi parte venga, occorre unità, che sola può voler dire forza ed indipendenza.
Unità europea: ma non unità nel servaggio, imposta dal di fuori dal vincitore straniero. L’unità dev’essere costruita dal didentro, per volontà dei popoli: unità vuol dire federazione di libere democrazie, che osino finalmente rompere il mito della sovranità nazionale, e rinunciando a una parte di essa cooperino a creare una sovranità europea più alta e più vasta, che sia superiore a quella degli Stati federati, ma alla quale tutti i popoli possano partecipare ascendendo in condizioni di parità, come un unico popolo.
Gli infelici esperimenti fatti finora dovrebbero aver dimostrato abbastanza che alla unità europea non si può giungere per approssimazioni funzionali, con parziali unificazioni di organi economici e culturali, se al disopra non sia prima costituita una unità politica, una forza effettiva di comando, che possa dettar norma agli Stati componenti e superare con una volontà cogente gli egoismi nazionali.
L’unità politica deve essere il prius: le soluzioni comuni dei problemi economici e sociali non saranno mai raggiunte, se non sarà prima creato lo strumento giuridico che le possa imporre nel comune interesse europeo.
Un parlamento federale eletto a suffragio universale da tutti i cittadini ascesi a questa superiore cittadinanza; un governo europeo, investito di poteri sovrani e dotato di mezzi per farli rispettare; una corte federale posta a garanzia della uguaglianza dei popoli e della libertà dei cittadini; unità di moneta, unità di mercati, unità di politica estera, unità di esercito. E, soprattutto, unità degli spiriti nel voler impedire a tutti i costi che questa miracolosa creazione di millenni d’arte e di scienza, di religione e di lavoro, che è la patria europea, sia condannata ad offrir come campo sperimentale dei certami atomici le sue torri civiche e le sue cattedrali.
In quest’ora decisiva, l’ultima speranza di pace e di distensione mondiale è negli Stati Uniti d’Europa. Chi si pone contro questa speranza è al servizio di vecchi incorreggibili nazionalismi o di nuovi imperialismi che considerano l’Europa come una vile pedina del loro giuoco mondiale: o appartiene, in ogni paese, a quei piccoli gruppi di capitalisti e di burocrati civili e militari, che nella federazione europea vedono la fine dei loro monopoli e dei loro privilegi. Ma sotto questi rottami galleggianti del passato, la grande corrente dei lavoratori non può non esser concorde: lo spirito di sacrificio e di fratellanza che unì nella Resistenza i popoli ansiosi di libertà ha additato qual è la foce di questa fiumana pacifica.
Solo nella solidarietà europea, primo passo verso la solidarietà mondiale, è la salvezza. Bisogna volere, basta volere: l’ora è questa o non più. In tutta Europa in questi giorni i popoli presentano ai loro Parlamenti una petizione comune in cui chiedono, colle stesse parole, la immediata costituzione della federazione europea. Anche in Italia la petizione sta per esser presentata alle Camere: date ad essa la vostra firma!
Per far sì che gli Stati Uniti d’Europa diventino una realtà, bisogna avere il coraggio di cominciare. Anche se da principio alla costituzione di essi aderirà soltanto un primo gruppo di Stati, la federazione rimarrà aperta alle adesioni che sopraggiungeranno, fino a che si compia, dall’occidente all’oriente, questa unità europea, che si interporrà tra i due blocchi rivali, non soltanto come un’oasi di pace, dove si potrà lavorare per la vita e non per la morte, ma anche come un terreno neutrale di mediazione e di comprensione, sul quale l’antica saggezza europea saprà trovare nuovi sistemi sociali contemperanti le esigenze, che sembrano opposte e non sono, della libertà politica e della giustizia sociale.
Quando la casa del vicino brucia, anche la mia casa sta per bruciare; perché uno si salvi, bisogna salvarsi tutti insieme. Il mondo, in virtù delle grandi scoperte che hanno annullato le distanze, è diventato veramente una piccola aiuola; l’Europa è oggi più ristretta di quanto fosse l’Italia un secolo fa, quand’era divisa in tanti piccoli principati. Anche allora gli egoismi regionali furono superati, e la sovranità risalì verso l’alto e si unificò nella nazione. Lo stesso processo di ascensione si ripete oggi dalla nazione alla federazione: lo stesso spirito che nel nostro Risorgimento guidò i nostri padri all’unità nazionale, ci guidi, nel nome di Giuseppe Mazzini, fino all’unità federale.
L’Italia non si salva, se non si salva l’Europa; salvando l’Europa si salva la pace del mondo.
Discorso apparso per la prima volta nel 1950 in «Appello all’unità europea», Il Ponte, VI, n. 4 e ripubblicato assieme ad altri scritti di Piero Calamandrei nel libro Questa nostra Europa (People) a cura di Enzo Di Salvatore, pubblicato il 26 marzo