Nuove frontiereMedicina di precisione e personalizzata. Così ci cureremo nel futuro

Lo spiega il professor Alberto Mantovani nel suo libro “Il fuoco interiore”, Mondadori. All’orizzonte c’è l’intervento terapeutico precoce: fermare le malattie prima che facciano danni irreparabili. Ma anche strategie basate sull’assetto genetico e sul microbioma di ogni paziente

GEORGES GOBET / AFP

Anche l’intervento terapeutico precoce rappresenta un orizzonte tutto da esplorare e da conquistare. Davanti a noi inizia ad affacciarsi la cosiddetta interception, a metà fra la prevenzione e la terapia: interventi che si effettuano quando la patologia è già presente o ad altissimo rischio di svilupparsi, ma clinicamente invisibile.

È il caso di alcune malattie autoimmuni. Nel diabete di tipo 1, per esempio, la diagnosi solitamente viene effettuata quando il paziente ha già perso la stragrande maggioranza delle cellule che producono l’insulina (cellule beta pancreatiche) e si è dunque innescata una situazione irreversibile, che può essere tenuta sotto controllo ma non guarita.

Negli anni Novanta, in modelli preclinici, Jean-François Bach e Lucienne Chatenoud avevano dimostrato che è possibile bloccare lo sviluppo di diabete di tipo 1 eliminando le cellule T del sistema immunitario, responsabili della distruzione delle cellule beta pancreatiche.

Per verificare se questa strategia fosse utile in clinica, ci si è basati su un anticorpo monoclonale diretto contro una struttura (CD3) presente solo su quelle cellule, generato in origine da Jeff Bluestone all’Università della California per studi di immunologia fondamentale.

Su questa base, attualmente, in pazienti ad altissimo rischio di sviluppare diabete di tipo 1, per esempio per motivi genetici, sono in corso studi mirati a bloccare le cellule T, così da riuscire a fermare la progressione del danno prima che arrivi, appunto, a causare la malattia.

Per la prima volta esiste la prova di principio che questa strategia possa funzionare, e che sia perciò possibile interferire con il processo di sviluppo del diabete di tipo 1.4.

Questi risultati potrebbero aprire prospettive nuove per bloccare l’insorgenza di malattie autoimmuni in soggetti ad alto rischio per motivi genetici: un passo straordinario in una prospettiva di medicina personalizzata.

Stiamo assistendo infatti a un cambiamento generale che va nella direzione di una medicina cosiddetta «personalizzata» o «di precisione», ossia in grado di dare al singolo paziente la terapia più adatta per la sua specifica malattia.

Ci aspettiamo, dunque, un futuro in cui le terapie immunosoppressive e antinfiammatorie siano basate sull’inquadramento dell’assetto genetico di ciascuno, del mondo microbico che lo accompagna (microbioma) e del suo stile di vita.

Così come è già avvenuto in oncologia, dove non esistono più malattie «uniche» come «il tumore del polmone» o «la leucemia», tanto per fare due esempi. Esistono invece varie leucemie e diversi tumori del polmone, caratterizzati da alterazioni genetiche differenti. Ed è proprio l’identificazione dell’alterazione genetica a guidare la strategia terapeutica.

Purtroppo a questa realtà, complessa e ancora in divenire, si accompagna la propaganda di facili sensazionalismi e false illusioni: una su tutte, la pretesa di definire il microbioma e, su questa base, di definire diete che affrontano problemi diversi e mirati.

Ancora i tempi non sono affatto maturi, dunque diffidiamo di facili promesse di salute al momento prive di qualsiasi fondamento scientifico.

All’orizzonte ci sono sviluppi basati sull’inquadramento dell’assetto genetico anche nel settore dell’immunità e dell’infiammazione: alla Queen Mary University di Londra Costantino Pitzalis, con sperimentazioni cliniche rigorose, sta cercando di «scomporre» l’artrite reumatoide – punta di diamante dello sviluppo di terapie innovative nel settore dell’autoimmunità – in malattie diverse, sulla base dell’assetto e della caratterizzazione dei profili genetici, con l’obiettivo di disegnare terapie mirate definite sulle caratteristiche molecolari e cellulari della malattia del singolo paziente.

Lungo questa stessa linea, il lavoro condotto in Humanitas da Antonio Costanzo ha mostrato come, in alcuni casi di artrite psoriasica, basandosi sulla genetica si possano utilizzare o meno determinati approcci terapeutici.

Un’ulteriore frontiera – che certamente potrebbe essere risolutiva ma che, onestamente, al momento appare purtroppo ancora molto lontana – è costituita dalla rieducazione del sistema immunitario, in modo che impari a utilizzare i freni e a colpire i bersagli giusti.

Sarebbe l’unico modo, questo, per agire alla base dell’autoimmunità, correggendola.

Al momento non si vede all’orizzonte una strada per farlo nel timo, dove i linfociti vengono naturalmente addestrati a compiere il loro dovere.

Tuttavia, esistono speranze legate allo studio e allo sfruttamento terapeutico delle cellule T regolatorie, che come abbiamo visto sono specializzate nel sopprimere le risposte inappropriate.

Parlando del diabete di tipo 1 abbiamo detto che l’eliminazione di parte delle cellule T sembra dare grande beneficio in soggetti geneticamente a rischio.

Questa prima prova di principio, se confermata ed estesa ad altre patologie, potrebbe diventare una strategia di reingegnerizzazione del sistema immunitario, eliminando i soldati corrotti dalle centrali di comando. Sarebbe una grande promessa per il futuro.

Del resto, in generale le terapie cellulari costituiscono una frontiera importante. Pensiamo alle CAR-T nel settore oncologico, che oggi utilizziamo con successo nelle leucemie del bambino e in alcuni linfomi dell’adulto: i linfociti T vengono prelevati e ingegnerizzati, ossia fatti crescere in vitro e modificati, armandoli contro i tumori per poi reinfonderli nei pazienti come una vera e propria truppa d’assalto.

Per il futuro, possiamo pensare a una strategia analoga per le malattie autoimmuni e autoinfiammatorie: terapie cellulari basate su quelli che abbiamo visto essere i «frenatori professionisti» del sistema immunitario, le cellule T regolatorie e le cellule mieloidi soppressive.

Al momento non esistono terapie cellulari di questo tipo in uso clinico e neppure in sperimentazione, perché non siamo ancora in grado di far crescere in vitro queste cellule.

La strada dunque appare lunga, ma la direzione sembra giusta: potenzialmente, rimettere in cabina di comando chi è professionista nell’usare i freni potrebbe costituire una svolta importante per le malattie autoimmuni.

Da molto tempo isolare cellule soppressive di vario tipo, farle crescere e reinfonderle nei pazienti con autoimmunità costituisce un sogno per gli immunologi: e a volte, come abbiamo visto, i sogni perseguiti tenacemente si avverano! La sfida, dunque, è più aperta che mai.

Infine, credo che una delle terre di conquista per il futuro sia la definizione delle basi molecolari del rapporto fra sistema nervoso centrale e sistema immunitario.

Da tempo l’osservazione clinica ne ha mostrato l’importanza per la manifestazione delle malattie infiammatorie, ed è ragionevole pensare che questo costituisca una frontiera dal punto di vista non solo della ricerca, ma anche e soprattutto dell’applicazione clinica.

da “Il fuoco interiore. Il sistema immunitario e l’origine delle malattie”, di Alberto Mantovani con Monica Florianello, Mondadori, 2020, 19 euro 

© 2020 Mondadori Libri S.p.A., Milano

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