Sarà un maggio pieno di letture. Dopo la chiusura (e la riapertura) delle librerie, ridotti i disagi della quarantena e con l’affacciarsi di una nuova stagione, ecco una fitta serie di nuovi titoli che è in prima fila per uscire.
Una rentrée fuori programma, in parte funzionale al (non) Salone del Libro di Torino (in programma in streaming dal 14 al 17 maggio), in parte conseguenza della sospensione delle pubblicazioni degli ultimi mesi.
Ci sono novità di narrativa, traduzioni importanti e qualche romanzo storico di un certo interesse. Di sicuro, al lettore che è rimasto digiuno (se davvero esiste) non mancherà la scelta.
Il primo duello sarà il 12 maggio tra il “Quichotte” di Salman Rushdie, edito da Mondadori, e “Lo scarafaggio” di Ian McEwan, Einaudi.
Il primo è un nuovo tentativo, da parte dello scrittore inglese-indiano, di raccontare i recenti anni americani. Abbandonato il realismo – estremizzato nella forma – di “The Golden House” (chi lo ricorda?) ci riprova riallestendo la trama del Don Chisciotte di Cervantes. C’è il matto innamorato (un rappresentante indiano) e appassionato di televisione – non libri, ma attenzione: nemmeno internet – c’è la diva della televisione irraggiungibile, la sua Dulcinea, c’è Sancho Panza, cioè un figlio immaginario.
La storia del nuovo cavaliere errante, che si snoda con satira e denuncia sociale lungo le vie di un’America surreale (pistole parlanti) e infelice, è un romanzo nel romanzo: l’autore alter-ego di Rushdie si chiama Sam DuChamp e la sua storia procede, intrecciata, con quella che racconta. Ha quasi vinto il Booker Prize 2019.
Al di qua dell’Oceano, anche Ian McEwan fa satira. Il suo scarafaggio, protagonista del libro, si trasforma per magia nel primo ministro inglese. Sì, è un riferimento a Franz Kafka, certo.
Ma nel romanzo c’è di più: oltre alla critica sugli ultimi anni post-referendum sulla Brexit, ci si abbandona a nuove forme di economia, come l’Inversionismo, dove si paga per lavorare e i venditori danno soldi a chi compra, si distillano dialoghi surreali con il presidente americano (sì, è un sosia di Trump).
Due satire, insomma, due mezze distopie uscite in lingua originale in epoca pre-pandemia e tradotte in italiano adesso. Chissà.
Nello stesso giorno uscirà “Se scorre il sangue”, di Stephen King, per Sperling & Kupfer. Un quartetto di storie segnate dalla disomogeneità (genio e prevedibilità si alternano in finali scontati o stupefacenti).
Nota: lo scrittore ripesca vecchi riferimenti alle sue opere precedenti, come Castle Rock, località immaginaria dove ha ambientato diversi vecchi romanzi, o personaggi molto amati dai lettori, cioè la detective Holly Gibney, personaggio di colore di “The Outsider”.
Altrimenti, sempre in tema thriller, c’è Kathy Reichs e il suo “Predatore e prede”, Rizzoli: torna il personaggio di Temperance Brennan, antropologa forense che studia i resti umani in decomposizione. Attività che, non si direbbe, la spinge a indagare e infilarsi in vari pericoli. Stavolta con il tocco di attuaità del mondo del web complottista.
Altre idee? C’è Hans Tuzzi con “Nessuno rivede Itaca”, Bollati Boringhieri, sorta di raffinato dialogo a distanza tra due personaggi, che incarnano due generazioni, due mondi e due sessualità diverse, con omaggi letterari più o meno evidenti (Arbasino, Proust) e riflessioni che puntano in alto: lingua, arte, tempo, destino.
Oppure Ben Pastor, che torna con un romanzo storicissimo: “La grande caccia”, Mondadori. La scrittrice italoamericana ripesca il personaggio di Elio Sparziano (è esistito davvero – pare), già protagonista di altri suoi libri, e va a raccontare le province dell’impero romano nel 306 d.C, in particolare la Palestina (c’entra un tesoro, quello dei Maccabei) già cristianizzata da tempo. Viaggio istruttivo.
E ancora: Marco Lodoli con “Il preside”, Einaudi, ultimo giorno di scuola e di follia per un dirigente scolastico – sorta di meditazione/affresco del mondo dell’istruzione, in chiave amara (e come altro potrebbe essere, verrebbe da chiedersi).
Infine Keller offre “Terra di nessuno”, saggio storico-geografico di Philip Dröge, che racconta l’incredibile vicenda di Moresnet, Stato autonomo senza governi, lembo di terra (3,4 chilometri) nato per un mancato accordo dopo il Congresso di Vienna, mondo sui generis a metà, per capirsi, tra la Svizzera, Las Vegas e la città di Fiume sotto D’Annunzio.
Il 14 maggio ecco la seconda fase: a duellare ci sono altre due traduzioni, in cartaceo, “A proposito di niente”, di Woody Allen, La Nave di Teseo, di cui si sa già abbastanza (anche solo per la recensione di Linkiesta).
Una tenzone casalinga, in realtà: l’altra possibilità è Joyce Carol Oates, con “Ho fatto la spia”, sempre per La Nave di Teseo. Conflitti tra giustizia e appartenenza costruiti sullo sfondo di un incidente “classico”, almeno da “Il falò delle vanità” di Tom Wolfe. L’incidente stradale e la morte di un nero.
E poi? Esce il cartaceo di John Lanchester, “Il muro”, per Sellerio (anche questo già esplorato) e un romanzo biografico, ma anche sorta di lezione di letteratura, sugli ultimi anni di Francesco Petrarca. È “Il copista” di Marco Santagata, già pubblicato nel 2000 per Sellerio ma ripreso, con qualche modifica, per Guanda.
In alternativa Iperborea, il 13 maggio, propone la “Saga di Gunnar”, storie epiche (e originali) di vichinghi. E Il Saggiatore, il giorno dopo, lancia “Il primo giorno di autunno al mondo”, di Stefano Costa, sorta di favola dark ambientata nel nebbioso Oltrepò, una sorta di batracomiomachia che richiama le scene, viste da poco, della natura che si impossessa del mondo degli uomini.