Da quando il virus è arrivato in Europa e poi negli Stati Uniti, e fino alle graduali riaperture di queste ultime settimane, le decisioni e i dibattiti sono avvenuti in un contesto di alta incertezza dell’evidenza scientifica, opposizione tra valori (liberta e privacy verso tutela della salute) e interessi economici contrastanti.
Nel libro “Scienza in vendita” abbiamo descritto questa configurazione come la più complessa da gestire per i decisori politici, e dove esperti e scienziati non hanno la bacchetta magica.
Sul tema dell’incertezza alcuni epidemiologi e studiosi, cosiddetti contrarian, hanno segnalato i rischi di decisioni basate su evidenza incerta, sulla necessità di processi maggiormente deliberativie di esercitare umiltà epistemica e riconoscere che «non sappiamo quello che non sappiamo» (i cosiddetti unknown unknowns) del Covid-19.
Questa situazione è stata resa bene nell’articolo de Linkiesta dedicato ai 150mila possibili ricoveri in terapia intensiva come peggiore scenario contenuto in un documento del Comitato Tecnico Scientifico.
In tali condizioni di incertezza il dibattito sul dilemma «tutela della salute o tutela dell’economia» rimane offuscato dalla mancanza di analisi serie sugli effetti collaterali del lockdown sull’economia e sulla tenuta mentale degli individui. Questi aspetti sino a oggi hanno ricevuto meno attenzione, anche nelle ricerche scientifiche, rispetto ai temi epidemiologici (numero di contagi e di vittime causate dal Covid-19) e clinici (terapie, vaccini, etc.).
Per colmare questo gap abbiamo realizzato uno studio longitudinale in Italia, Regno Unito e Spagna che misura gli effetti di breve e lungo periodo causati dall’emergenza Covid-19, dalle misure governative, e dalle strategie di comunicazione.
Rimanendo fuori dai temi epidemiologici e dalle polemiche sulla gravità o meno del rischio posto dal Covid-19 per la salute e per il sovraccarico sul Ssn, ci siamo posti l’obiettivo strettamente empirico di dare un primo contributo e tracciare un quadro iniziale, che dovrà essere completato da altri studi simili, sugli effetti collaterali del lockdown. Lo studio combina semplici questionari con alcune manipolazioni sperimentali randomizzate.
Abbiamo utilizzato un campione di individui rappresentativo della popolazione di ciascun paese (per sesso, età, istruzione, tipologia e area di residenza). Gli stessi partecipanti sono stati seguiti longitudinalmente e intervistati in tre rilevazioni consecutive: la prima tra il 24 aprile e 1° maggio; la seconda tra il 2 e il 9 maggio; la terza tra il 10 e il 17 maggio.
Ad oggi, si tratta di uno studio unico non solo in Italia, in quanto combina dati su tre diversi paesi, con un campione molto ampio e rappresentativo, monitorando lo stato degli intervistati lungo un arco temporale durante il quale in tutti e tre i paesi sono intervenute parziali misure di riapertura di cui possiamo cercare gli effetti analizzando le risposte dei partecipanti.
Alcune domande poste ai partecipanti in tutte le tre rilevazioni permettono di rispondere ai seguenti quesiti: Quale è lo stato di salute e l’esposizione al virus dei cittadini dei tre paesi? Come hanno vissuto e stanno vivendo, adattandosi alle nuove condizioni di vita?
Quali sono i gruppi più vulnerabili e fragili e quali sono le maggiori criticità rispetto alla salute, alla tenuta psicologica, alla situazione economica, alla condizione abitativa e alle relazioni dentro il nucleo familiare? Come sono cambiati in questi mesi i loro comportamenti (rispetto alla salute, relazionali, economici)?
In questo modo è disponibile un monitoraggio su tre elementi fondamentali – salute, comportamento sociale ed economia distribuito su un lungo arco temporale che permette anche di valutare se le parziali misure di riapertura hanno avuto degli effetti.
Dall’esperimento condotto durante la prima settimana abbiamo ottenuto il grado di accordo/disaccordo con le seguenti affermazioni: a) «il governo non dovrebbe concentrarsi solo su come contenere il contagio, ma anche come evitare una crisi economica»; b) «il governo non dovrebbe concentrarsi solo sul comunicare ai cittadini come rispettare le misure di sicurezza, ma anche spiegare in modo chiaro come sta pianificando l’uscita dalla crisi».
Durante la seconda settimana, attraverso un priming sperimentale, abbiamo valutato se l’esposizione a un trauma (es. esposizione a Covid-19) o a uno shock (es. diminuzione guadagni) ha effetti su: a) capacità cognitive; b) preferenze e atteggiamenti sociali importanti quali fiducia, altruismo, reciprocità negativa e positiva, atteggiamento verso il rischio, scelta tra presente e futuro.
Nella terza settimana un altro esperimento ci ha permesso di valutare il grado di approvazione di tre possibili misure governative di contrasto del Covid-19): a) distanziamento sociale; b) contact tracing con App; c) test sierologici. Inoltre, abbiamo posto delle domande per sondare se i partecipanti sono ottimisti/pessimisti verso il futuro e se si attendono mutamenti comportamentali di lungo periodo (rispetto a risparmio, attività economica e consumi).
Dai dati raccolti durante la prima settimana emerge come in Italia il 67.4% ritenga che la salute non sia più importante dell’economia (le percentuali in Spagna e Regno Unito sono attorno al 60% anche) e il 65% concordi che il governo oltre a imporre misure restrittive dovrebbe dare un piano chiaro per l’uscita dalla crisi (in Spagna il 71.6%, nel Regno Unito il 72.6%).
Queste percentuali elevate di accordo con le due affermazioni testimoniano una forte preoccupazione per la situazione economica e una crescente insofferenza per le condizioni di incertezza e la mancanza di una visione e di un piano per il ritorno alla normalità. Non sorprende quindi che l’altro principale risultato della prima rilevazione sia il dato su uno stato di malessere diffuso in tutti e tre i paesi.
Infatti, utilizzando intelligenza artificiale (machine learning) sui dati raccolti, possiamo fare la predizione che la percentuale di popolazione la cui salute mentale è a rischio a causa di vari shock e fattori di vulnerabilità socioeconomica causati e/o accentuati dal lockdown è del 41% in Italia, del 46% in Spagna e del 42% nel Regno Unito.
In tutti e tre i paesi percentuali superiori al 50% della popolazione riportano di sentirsi depressi, ansiosi, e stressati per gran parte della settimana (da 3 a 7 giorni). Il rischio per la salute mentale è chiaramente legato ad alcuni fattori di vulnerabilità.
Essere disoccupati, vivere con più persone in spazi abitativi ristretti, avere a casa bambini/ragazzi in età scolare, avere subito un evento stressante a causa del lockdown (i.e. chiusura attività, perdita del lavoro, diminuzione delle entrate), sono positivamente correlati (aumentano) con lo stress psicologico e i rischi per la salute mentale.
Al contrario sono negativamente correlati (diminuiscono) con lo stress psicologico, avere un reddito relativamente alto, possedere casa di proprietà senza mutuo da pagare, avere uno spazio abitativo relativamente ampio, poter pagare le bollette per oltre sei mesi anche in caso di mancanza di entrate (buffer finanziario).
I dati della seconda e della terza rilevazione sono ancora in fase di elaborazione e possiamo di seguito solo presentare brevemente alcuni risultati preliminari che necessitano di un approfondimento successivo. In primo luogo, la seconda rilevazione mostra che non ci sono stati miglioramenti sostanziali per la salute mentale in Italia e Spagna nonostante le parziali riaperture. Anzi per certi versi la situazione è peggiorata.
Questo aspetto forse indica che la fase peggiore potrebbe cominciare quando finalmente ci confrontiamo con la realtà della riapertura che è radicalmente diversa dalla normalità di prima del Covid-19. Sempre la seconda rilevazione indica che l’esposizione a trauma o shock riduce la fluidità cognitiva degli intervistati.
Infine, l’analisi longitudinale delle tre rilevazioni suggerisce che i fattori di vulnerabilità identificati nella prima rilevazione si confermano e coinvolgono anche in modo rilevante la classe media. Questo risultato dovrebbe allertare i decisori politici affinché evitino lo ‘shock mis-management’ che, come documentano vari studi economici, ha caratterizzato la gestione della grande recessione 2008-2010.
In quel frangente le politiche sociali di sostegno non hanno posto sufficiente attenzione alla classe media, di cui grandi segmenti sono progressivamente scivolati verso il consenso politico alla destra populista e sovranista. Oggi siamo di fronte allo stesso scenario e, se possibile, il rischio è anche maggiore rispetto al 2008-2010, dal momento che la caduta attesa del PIL è molto più alta e si abbina a condizioni critiche dal punto di vista dello stato di salute mentale della popolazione.
*Finanziato e realizzato da Open Evidence, in collaborazione con BDI- Schlesinger Group. Autori: Cristiano Codagnone (Università degli studi di Milano, Universitat Oberta de Catalunya, Open Evidence), Francisco Lupiañez-Villanueva (Universitat Oberta de Catalunya, Open Evidence), Giovanni Liva (Open Evidence), Frans Folkvord (Open Evidence), Francesco Bogliacino (Universidad Nacional de Colombia), Rafael Charris (Universidad Nacional de Colombia), Camilo Gómez (Universidad Nacional de Colombia), Felipe Montealegre (Universidad Nacional de Colombia), Giuseppe Veltri (Università degli studi di Trento, Gerda Reith (Glasgow University). Si ringraziano i professori dell’Università degli Studi di Milano Alberto Martinelli, Antonio Chiesi, e Nando Dalla Chiesa per la revisione del protocollo di ricerca.