Aperitivo milaneseDopo la sfuriata di Sala, sui Navigli si incontrano soltanto giornalisti e poliziotti

All’indomani degli “assembramenti” individuati in Darsena, siamo andati a vedere che cosa succede all’ora dell’aperitivo: non granché, forse anche per gli avvertimenti del sindaco. E i gestori dei locali chiedono regole più chiare e uniformi

Darsena
Credit: Gaia Menchicchi

Se c’è una cosa che la giornata di giovedì conferma, è che la movida ai milanesi manca. Naturale, per chi è stato rinchiuso in casa per due mesi, aver voglia di uscire a prendere un po’ d’aria e magari farsi un aperitivo, complice anche il tempo sempre più dolce e le giornate ormai lunghe.

Ma se è vero che di gente, giovedì pomeriggio in zona Navigli «ce n’era», dicono i gestori dei locali, è anche vero che il caso delle foto circolate sul web di “assembramenti” con gli avventori seduti a distanza ravvicinata e senza mascherine, assolutamente lontani dall’idea delle “misure di sicurezza” da adottare, è stato gonfiato. Colpa dell’annullamento dei piani di profondità degli zoom delle fotocamere, capaci di comprimere distanze di 400 metri in uno spazio di 100.

Lo confermano gli stessi titolari dei bar, ed anche i residenti. «Io sono qui da trent’anni, le persone c’erano, ma non è come si vede dalle foto. E comunque era stato molto più complicato mandare via gli spacciatori dal ponte laggiù anni fa», dice a Linkiesta un artista che ha il suo studio a pochi metri dalla Darsena, all’inizio del Naviglio Grande, normalmente il più affollato dei due canali.

«Sì, ieri di gente ce n’era parecchia, ma oggi invece quasi nessuno», aggiunge una signora affacciata alla finestra proprio sopra allo studio dell’artista.

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Credit: Gaia Menchicchi

Il sindaco Beppe Sala ha commentato le immagini in modo molto duro: «Ci sono dei momenti in cui c’è da incazzarsi e questo è uno di quelli: le immagini di ieri lungo i Navigli sono vergognose», ha detto in un videomessaggio postato sui social. «O le cose cambiano oggi, non domani, o prenderò provvedimenti e chiuderò i Navigli e bloccherò la vendita d’asporto».

Le parole del primo cittadino, o anche solo la promessa di schierare molti più controlli hanno fatto effetto. Nel tardo pomeriggio di venerdì qualcuno in zona c’era, ma il grosso della folla era costituito dalle auto della polizia e dai giornalisti, accorsi in massa per documentare la situazione. Qui sotto si trova il momento di massima ressa che Linkiesta ha potuto immortalare (anche in questo caso, l’angolazione della fotocamera fa apparire le persone più ravvicinate tra loro di quanto non siano).

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Credit: Gaia Menchicchi

«Oggi le volanti saranno passate una sessantina di volte qui davanti», dice a Linkiesta un barman da dietro il bancone del “Gino 12”. Il locale è stato allestito con vetri di plexiglass per evitare gli ingressi; sul banco una fila di bottigliette di birra, spritz e cocktail vari, appositamente sigillate. Hanno appena riaperto dopo due mesi di chiusura: giovedì è stato il primo giorno. Non si può dire che le cose siano partite al meglio. «Ieri in cinque ore di lavoro avrò servito 35 clienti», racconta ancora.

Su una lavagnetta c’è scritto il listino: spritz 7 euro, birra 5, cocktail poco più. «Naturalmente abbiamo abbassato i prezzi, in media del 20%. I clienti non hanno la sicurezza di avere il denaro in tasca, non possono permettersi di spendere tanto», dice. Eppure, i gestori hanno optato per fare un investimento sul packaging “usa e getta” nonostante le mancate entrate legate alla chiusura. Probabilmente una scelta lungimirante, in vista di quella che probabilmente diventerà la nuova normalità. «Solo il packaging però ci costa almeno 1 euro», aggiunge il barman. Su un organico di 30 persone, poi, solo in quattro sono rientrati al lavoro. «E l’affitto da pagare è rimasto lo stesso».

locale milano
Credit: Gaia Menchicchi

Milano si scontra così fra la necessità di dare nuovo respiro ai ristoratori, e il bisogno di contenere un’epidemia che, in città, registra ancora tassi di contagio preoccupanti.

«C’erano tanti ragazzi ieri, bevevano vicini e con le mascherine abbassate», dicono due ragazze straniere, studentesse alla Naba, arrivate a settembre. «E i gestori dei bar non è che facessero molto per mandarli via», aggiungono.

Per le dipendenti di Cioccolati Italiani, invece, erano soprattutto le «famiglie con figli piccoli» a passeggiare lungo il canale. Il loro locale è tra quelli che sono rimasti aperti in questi mesi, prima tramite le consegne a domicilio, ora con l’asporto. «Gli affari però non vanno bene», dicono. E metà dei dipendenti sono finiti in cassa integrazione. «Però il sindaco ha ragione, la gente deve rispettare le distanze e le misure di sicurezza», confermano.

darsena covid
Credit: Gaia Menchicchi

Il Village Café è uno dei locali più storici della zona. «Siamo qui dal 1980», racconta a Linkiesta il titolare. «A creare confusione ieri è stato il carrettino che vende le birre, abbiamo il dente avvelenato con lui», specifica. Sistemato all’inizio del naviglio, vendendo a poco prezzo ruba da sempre tanti clienti ai locali, anche prima del Covid-19. Il locale ha riaperto martedì: non hanno le bottiglie sigillate, ma davanti all’ingresso è stato posizionato un tavolo per mantenere le distanze, e in bella mostra c’è un flacone di gel igienizzante a disposizione dei clienti.

«Anche il weekend scorso c’era tanta gente, io faccio il possibile per evitare assembramenti, però che autorità ho per mandarli via?», si sfoga ancora il gestore. «Dovrebbe essere la polizia ad allontanare la gente». Stando alle sue parole i controlli, fino a un paio di giorni fa, erano sporadici e concentrati la mattina. Ma comunque in giro fino a prima dell’inizio della Fase 2 non s’era visto nessuno.

locale navigli
Credit: Gaia Menchicchi

Il weekend rimarrà certo un grosso test, ma a questo punto l’amministrazione comunale è preparata. «Io credo che il messaggio del sindaco fosse giusto, però poteva dirlo in un altro modo. E noi come mangiamo? I 600 euro delle partite Iva non sono arrivati, e la cassa integrazione per i dipendenti neppure», prosegue l’uomo. «Qui sui Navigli prima si lavorava soprattutto coi turisti. Con il Salone del mobile non stavamo mai fermi fino a mezzanotte. Adesso, invece, secondo me possiamo dire addio alla movida fino all’anno prossimo».

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Credit: Gaia Menchicchi

Il messaggio di Beppe Sala, per quanto netto e chiaro, rischia di essere un’arma a doppio taglio per i locali. Con la polizia a presidiare a tappeto la zona, il rischio è che la gente si senta intimorita ed eviti proprio di consumare.

«Il problema è che non ci sono direttive chiare. Io per esempio ero contrario al take away, per me i tavolini sarebbero stati la soluzione migliore per tenere sotto controllo la situazione», suggerisce il gestore. «Fatto quello, poi sono anche favorevole ad aumentare le multe: 100 euro se non hai la mascherina, così la gente impara».

Con le giuste condizioni, insomma, tutto si può fare. L’artista del Naviglio grande suggerisce di mettere in campo degli “educatori di strada” per sensibilizzare soprattutto i più giovani all’importanza di mantenere le distanze di sicurezza. Dopo mesi di convivenza con il coronavirus, è probabile che in molti ci abbiano fatto l’abitudine e percepiscano di meno la minaccia.

Ma soprattutto, però, per i gestori è arrivato il momento di smetterla con i passi avanti, se poi bisogna farne all’indietro. «Ci dicono aperti sì e subito dopo aperti no. Così non è possibile. Abbiamo bisogno di certezze», commenta secca una tabaccaia. «Piuttosto preferirei che stessimo tutti chiusi altri due mesi, se è il prezzo da pagare per tornare davvero a lavorare».

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