-29% a marzoIl calo dei consumi abbatte gli investimenti pubblicitari

Secondo l’analisi condotta da Nielsen, rispetto allo stesso periodo del 2019 il mercato delle inserzioni si è ridotto di 243 milioni di euro. L’anno finirà con segno negativo, meglio puntare tutto sul 2021

Se c’è un trend globale negli investimenti pubblicitari per i primi mesi del 2020, è il crollo.

Questo è il dato principale che emerge all’analisi di Nielsen sull’andamento del mercato pubblicitario a marzo 2020, presentata con un webinar il 25 maggio da Alberto Dal Sasso, Ais managing director di Nielsen. Risultato -29% a marzo, cioè 243 milioni di euro spariti rispetto al 2019.

La crisi del coronavirus, le chiusure forzate e il calo dei consumi hanno picchiato duro sul settore. Se a febbraio (appena prima della crisi) si erano visti segnali positivi, il lockdown ha cancellato tutto.

Ma non solo: anche le previsioni restano negative. L’anno si chiuderà con un calo, riconosce Dal Sasso, a doppia cifra, ma «non con un 2 davanti». Lo si spera.

Del resto, si cerca di buttare acqua sul fuoco. Vista la situazione straordinaria, i dati di marzo sono da considerare come «un’eccezione», non certo un punto di riferimento. Paradossali, anzi: si è assistito per esempio a un aumento dell’audience e a una contemporanea diminuzione degli investimenti, soprattutto nella televisione. Qui il calo è stato del 30,9% e ha chiuso il trimestre al -10,5%.

Marzo è andato malissimo anche per quotidiani, (-34,1%), periodici (-31,5%) e radio (-41,6%). E nemmeno internet è riuscito a salvarsi: la raccolta di tutto il web advertising, che comprende search, social, classified (sponsorizzati) e gli OTT (cioè gli Over The Top) si ferma a marzo a quota -19,2% rispetto all’anno prima, con un trimestre che chiude a -2%. Il meno peggio.

E così, con i consumi bloccati, o limitati a specifici settori – non a caso tutto il comparto per la gestione della casa è salito a livello vendite – le pubblicità si sono fermate, limitandosi al minimo indispensabile per tenere vivo il marchio.

Si sono anche trasformate: come mostra la ricerca (e come del resto ognuno di noi ha potuto sperimentare di persona) fin dall’inizio del lockdown sono cambiati i linguaggi e gli stili.

Si è puntato su temi “caldi” e consolatori, con ringraziamenti (ai medici) e incoraggiamenti generali («Non molliamo», «manteniamo la speranza», «ci ritroveremo») fatti nel tentativo di mantenere il legame emotivo con il consumatore in un momento di incertezza.

Con i primi allentamenti si è imposta, invece, la «ripartenza», declinata sempre con un carattere di partecipazione collettiva: tutti devono «marciare uniti».

In generale, anche se estesa a tutti i mezzi e a quasi tutte le categorie merceologiche, la trasformazione è stata soprattutto un fenomeno televisivo: qui le nuove campagne a tema Covid sono state il 34%. Al contrario, su Youtube è stato solo l’8%.

Con ogni probabilità, questo dato suggerisce che la prima sia ancora percepita come un canale di comunicazione istituzionale, ufficiale e generale. Il secondo è invece un luogo personale di evasione.

Come si è detto, le previsioni non sono incoraggianti. La prognosi di Lorenzo Sassoli de Bianchi, anche lui presente al webinar in quanto presidente dell’Upa, l’associazione italiana degli investitori di pubblicità, rimane «riservata».

La discesa «degli investimenti, a livello globale, è stata fortissima», anche se non si è mai azzerata, ha sottolineato. È lecito pensare «che, con la ripresa dei consumi, riprenda anche quella della pubblicità».

Ma è meglio non pensare più al 2020, in si può solo pensare di risalire. «Serve guardare al 2021», l’anno dispari che sarà un nuovo “anno pari”, dal momento che tutti i grandi eventi di richiamo (e di investimento), come gli Europei, sono stati rimandati.

Intanto, bisogna tornare a favorire i consumi. «Cosa che avverrà quando i cittadini, una volta liberi di circolare, avranno a disposizione anche i soldi da spendere», con riferimenti chiari alla politica.

Rimane allora il rammarico che se tutto fosse andato bene, rispettando cioè i trend di gennaio e febbraio, si sarebbe registrato per il trimestre un aumento del 3%.