TragediaViva i film e il teatro in streaming, ma chi salverà le imprese culturali europee dal collasso?

La Commissione europea può fare poco, le sovvenzioni degli Stati sono briciole perché hanno la precedenza i settori strategici. A rischio 1,2 milioni di società. Non basterà il programma Sure per aiutare tutti

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Maggio Musicale Fiorentino e Oktoberfest, stagione estiva dell’Arena di Verona e I-Days di Milano: annullati. Il Romaeuropa Festival che dovrebbe partire a fine settembre? Il programma c’è, ma neppure gli organizzatori sanno se e come si potrà svolgere. Poi ci sono i grandi festival letterari e filosofici di fine estate: Festivaletteratura di Mantova, Pordenonelegge, il Festival della mente di Sarzana, Festivalfilosofia di Modena, Carpi e Sassuolo? Tutta giurano di esserci. In che modo? Si vedrà.

Quando si parla di cultura, anche in tempi di pandemia e crisi economica alle porte, il rischio è di considerarla in termini di categoria dello spirito, passatempo mondano da dopolavoro, superfluo rinunciabile. Per un po’ non ci sarà il teatro? Guarderanno vecchi film. 

Le imprese culturali in Europa sono 1,2 milioni, il 5 per cento delle imprese totali, escluse quelle finanziarie. Il loro valore economico nel 2016 è stato quasi pari alla produzione alimentare e di poco superiore al settore del commercio automobilistico. Il 15 per cento delle imprese culturali europee, la fetta più ampia del totale, sono italiane e il nostro Paese assieme a Francia, Germania, Spagna e (prima) Regno Unito nel 2016 ospitava quasi il 60 per cento delle imprese culturali nell’Unione.

Se per un po’ non ci saranno festival, spettacoli teatrali o nuovi film, i prodotti culturali non ci mancheranno – avere alle spalle una cultura di migliaia di anni ha anche i suoi lati positivi – ma forse molte di queste imprese rischieranno di fallire. Oltre alle difficoltà attuali, il timore è che, terminate le misure stringenti, la cultura non sarà tra le priorità di spesa.

In questo caso l’incertezza e le perdite economiche si abbattono su un settore già fragile, se si pensa che le imprese culturali nei paesi dell’Unione sono prevalentemente medio-piccole e la percentuale di lavoratori autonomi in questo campo è più del doppio del tasso medio. In altri termini: i lavoratori autonomi europei nel 2018 erano il 14 per cento degli occupati totali, mentre nel settore culturale erano oltre il 30 per cento.

In Italia il 46 per cento degli addetti in ambito culturale sono autonomi (a fronte del 22 per cento di autonomi sul totale degli occupati). La maggior parte di loro sono lavoratori stagionali, assunti in occasione di eventi o tournée che quest’anno nella maggior parte dei casi non avverranno. 

Istituzioni culturali, teatri, singoli artisti, scrittori e addirittura interi festival hanno trovato diversi modi per continuare la loro attività in rete gratuitamente. E dietro l’opportunità si nasconde un altro problema. Se è normale spendere qualche decina di euro per uno spettacolo o un concerto, non molti farebbero lo stesso con un contenuto diffuso solo attraverso uno schermo.

I libri, i giornali, le serie tv e i film ormai li fruiamo senza smorfie anche su un piccolo schermo, e ci stiamo persino abituando a pagarli. Ma uno spettacolo lirico o un concerto sono performance fisiche, che richiedono un palco e un pubblico in presenza: la loro fruizione digitale sembra a molti una versione depauperata, che non merita il costo del biglietto. A fronte di una risposta di pubblico spesso entusiasta e inaspettata, si è sperimentato quindi un modello economicamente insostenibile. 

Il Parlamento europeo, in un recente report, auspica da una parte il superamento delle differenze di accesso a Internet nelle diverse fasce sociali e regioni europee, dall’altra il potenziamento degli strumenti con cui facilitare la monetizzazione dei contenuti diffusi online. Uno di questi è la direttiva europea sul copyright, che dovrebbe proteggere i diritti dei creatori contro i giganti digitali internazionali.

La maggior parte delle misure comunitarie messe in campo fino ad ora – dalla maggiore flessibilità nell’utilizzo dei fondi strutturali e di investimento europei ai 37 miliardi del Coronavirus response investment initiative (CRII), passando per le SURE – potranno interessare anche gli operatori del settore culturale: piccole e medie imprese e lavoratori autonomi.

Oltre a questi aiuti, alcuni Stati ne hanno messo in campo alcuni specificamente rivolti al settore. Le autorità federali tedesche hanno stanziato 50 miliardi di euro a sostegno di artisti freelance e piccole e medie imprese culturali e creative. A livello regionale, le autorità del Nordreno Westfalia hanno stanziato 120 milioni di euro a sostegno di istituzioni e operatori culturali, nonché un pagamento una tantum fino a duemila euro per artisti freelance i cui eventi sono stati cancellati a causa della pandemia.

In Italia, il Decreto Cura Italia ha previsto un fondo di 130 milioni destinato ai settori dello spettacolo, del cinema e dell’audiovisivo. Il Belgio ha stanziato 50 milioni di euro per le politiche in materia di cultura, sport, infanzia e gioventù. Dalla Bea Music, l’organizzazione che rappresenta produttori e distributori di musica e intrattenimento in Belgio, è partita la richiesta alle radio e tv nazionali di privilegiare artisti belgi per sostenerli. Una specie di playlist autarchica.

Il 20 aprile la Commissione per l’Istruzione e la cultura del Parlamento europeo ha inviato una lettera alla commissaria per la cultura Mariya Gabriel e al commissario per il mercato interno Thierry Breton sottolineando l’urgente necessità di sostenere i media colpiti da un calo dell’80 per cento delle entrate pubblicitarie.

Martedì 5 maggio la Commissione ha anche lanciato Creatives Unite, una piattaforma digitale per aiutare artisti, creativi e operatori dei settori culturali a condividere informazioni, opportunità e buone pratiche che stanno sperimentando. Dai musei ai festival, passando per teatro, editoria e videogame: l’obiettivo è fare rete e cercare di capire insieme come sopravvivere nella pandemia.

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