Cis, viaggiare privilegiati Fenomenologia del bianco contrito

Parole che non servono, asterischi, cambi di vocali e quei passatempi dolenti di un’epoca che ci fa inginocchiare contro il razzismo lontano ma che dimentica quello che Chimamanda ‘Ngozi Adichie ha capito dopo mezza giornata a Milano: gli afroamericani stanno meglio degli afroitaliani

ALBERTO PIZZOLI / AFP

Prologo, autunno 2019. A una manifestazione editoriale milanese è previsto l’intervento di Chimamanda ‘Ngozi Adichie. Chimamanda è molte cose: è un’autrice di romanzi, è un’oratrice formidabile (in Italia la sua bibliografia è doppia che altrove perché Einaudi pubblica i testi dei suoi Ted Talk), è una nigeriana che vive metà del tempo a New York e che su Instagram promuove la moda nigeriana e i cui libri raccontano dell’esperienza afroamericana non nel senso di origini ma proprio di transito tra i due continenti.

Arrivo in anticipo e, mentre la sala si riempie, noto una cosa che non ho mai visto a Milano: borghesia nera. A Milano s’incontrano due tipi di neri: calciatori multimilionari, o fattorini che consegnano cene (o analogo sottoproletariato). La middle class nera non esiste; o meglio: da qualche parte deve esistere (quella sera è lì), ma le altre sere non incrocia quella bianca.

Dopo un po’ arriva una giornalista che conosco, e mentre viene a salutarmi si guarda intorno e mi chiede: «Ma abbiamo affittato delle comparse per fingerci una città integrata?».

L’organizzazione di quella serata lì non so da chi sia gestita, ma so che tipologia di esseri umani sono: bianchi contriti.

I bianchi contriti usano molto spesso la parola “privilegio”, nel fustigarsi. Sono un privilegiato, premettono, pure quando non guadagnano abbastanza da pagare l’affitto, non hanno alcun rilievo nel dibattito culturale pur agitandosi moltissimo, e si accompagnano a qualcuno che li infelicita e li riempie di corna e lascia sempre la macchina senza benzina.

Il “privilegio” riguarda il colore della pelle o la sessualità, mica le cose davvero rilevanti, quindi ieri Oprah Winfrey, nera, già conduttrice televisiva – una il cui patrimonio nel 2020 è stato quantificato da Forbes in due miliardi e seicento milioni di dollari – ha organizzato un dibattito in cui i suoi ospiti ci spiegavano il “privilegio bianco”. Giacché il senzatetto bianco, essendo egli bianco, è comunque privilegiato rispetto alla miliardaria nera, essendo ella nera.

Se borbotti al bianco contrito ma d’insuccesso nonché cesso nonché cornuto «cos’avrai mai di privilegiato, se sei privilegiato tu Alessandro Baricco cos’è», egli ti spiega assai serio che è privilegiato perché non ha mai dovuto temere d’essere ucciso per il colore della sua pelle, o aggredito in quanto donna, o irriso per il genere che si è scelto. Sai, dirà sempre con l’aria di chi non sta parlando di uova di drago e unicorni e fate turchine, «sono cis».

“Cis” è forse più d’ogni altra la parola che spiega il nostro tempo (il tempo dei bianchi contriti). Le parole, nella storia dell’uomo, sono tradizionalmente nate per un bisogno. C’era una cosa nuova, bisognava darle un nome. I nomi delle cose sono una questione analizzata nei millenni, dalla Bibbia a Shakespeare.

A nessuno mai era venuto in mente che potesse esserci un’epoca che creava parole per non dire, per confondere invece che per chiarire (il bianco contrito, che ci tiene molto a far sapere d’aver frequentato il liceo, a questo punto direbbe: come no, il nomoteta di Socrate).

Una mattina il bianco contrito s’è svegliato e ha deciso che al nostro tempo servisse una parola per dire colui (o colei: poi arriviamo al dramma che vive il bianco contrito allorché la sua madrelingua è una lingua che ha i generi) che non ha mai cambiato sesso.

Attenzione: non importa se egli (ella) giaccia con uomini o con donne o con piante da appartamento, “cis” non ha a che fare con l’orientamento sessuale. “Cis” dice che tu sei nato con gameti d’un certo tipo, e te li sei fatti andar bene, invece d’agitarti perché ti sentivi più uomo o più donna e l’identità sessuale era una prigione e altri problemi da occidente benestante. (Il bianco contrito a questo punto ha smesso di leggere e ha deciso che io sono una fascista: per il bianco contrito ci sono solo due catalogazioni dei punti di vista divergenti, ignoranza o fascismo).

Se state pensando che non serviva “cis” – la parola per dire l’individuo che non ha mai cambiato sesso non serviva, perché uno che non ha cambiato sesso è la norma, e sono le deroghe dalla norma che hanno bisogno di definizione, la norma è normale – il bianco contrito ha una notizia per voi: siete fascisti.

La contrizione del bianco contrito è multistrato.

Egli è contrito coi neri perché in America c’è stato lo schiavismo secoli fa e la polizia era violenta minuti fa, epperciò s’inginocchia in parlamento (il bianco contrito s’inginocchia per le cause più à la page e geograficamente e socialmente più distanti, ma se gli dici che non ti pare per le condizioni di lavoro dei raccoglitori di pomodoro a Rosarno si sia contrito altrettanto ti dice che sei benaltrista, ma te lo dice in inglese: «whataboutism»).

La sua contrizione si esplica in gesti di grande valore quali rifiutarsi di comprare le caramelle Morositas, o il pretendere che i nomi delle cose smettano d’appropriarsi delle culture delle minoranze oppresse. Ieri la casa discografica “One Little Indian” ha annunciato contritissima che cambierà nome in “One Little Independent”. S’attende il cambio di titolo di “Dieci piccoli indiani”, romanzo di Agatha Christie che se non si sbriga ad adeguarsi ai nuovi standard farà la fine di “Via col vento”.

Egli è contrito con le donne perché non saprà mai cosa significhi sentirsi una preda sessuale costantemente, ogni minuto, ogni giorno, temere sempre lo stupratore dietro l’angolo. Naturalmente (ve l’avevo detto che la lingua coi generi è un problema) il bianco contrito può essere una bianca contrita, e in quel caso dirà col piglio di chi sa che nessun bianco contrito oserà contraddirla che lei da tutta la vita torna a casa stringendo in pugno le chiavi, pronta a sfregiare lo stupratore in agguato.

Se provi a farle notare che lo stupratore è un’eccezione e non una regola, e nessuno t’ha mai aggredito in decenni che torni a casa da sola, e neanche conosci nessuna cui sia mai successo, la bianca contrita t’accuserà di privilegio.

Ma come, sono donna, non avevamo stabilito che siamo tutte vittime? No, tu sei una privilegiata e non capisci come vivono le donne. Ma non sono una donna anch’io? Che c’entra, tu sei una fascista (nonché cis: non c’è limite alle cose di cui devi vergognarti), evidentemente lo stupratore lo sa e si astiene (in questa distopia di violenza in ogni dove, gli stupratori hanno mappe che permettono loro di aggredire solo le bianche contrite e mai quelle serene).

Poiché è conseguente nella sua contrizione, il bianco contrito non si piegherà ai generi nell’italiano; prima alle parole maschili o femminili toglieva le finali sostituendole con asterischi, poi si dev’essere accort* che c’era un problema: gli asterischi come li pronunci? Di recente siamo passati alle “u”: nei post social biancocontriti abbondano i «Ciao a tuttu». Il risultato è che sembrano tutti (tutte? tuttu) sardi. Sarde. Sardu.

Infine, ma non meno importante, è contrito coi trans perché non sa cosa voglia dire avere la barba e dover lottare contro una società ottusa che esita nel definirti al femminile per quanto tu abbia spiegato che ti percepisci donna.

La sua contrizione diventa ira funesta quando J.K. Rowling osa ridere d’un titolo di giornale che parla di «persone che mestruano», insinuando che quella categoria lì si chiami «donne»: sta forse dicendo che questa mia amica con la barba e i testicoli che si percepisce donna non lo è solo perché non mestrua? Sta quindi discriminando le donne in menopausa perché per lei il mestruo è dirimente? (Il bianco contrito all’università comprò due canne coi soldi con cui avrebbe dovuto fotocopiare le dispense del corso sulla Scienza della logica di Hegel, e quella lacuna non l’ha mai più recuperata).

Quella sera dell’autunno 2019, Chimamanda non si fece trarre in inganno neppure per un istante dalla platea multicolore. Dal palco disse che gli afroamericani stavano molto meglio degli afroitaliani, le cui storie la letteratura non raccontava, «e stamattina mi hanno spiegato che fino a diciott’anni non avete neppure la cittadinanza». Nelle settimane successive non ci furono manifestazioni, nessuno s’inginocchiò, neppure una statua venne abbattuta in solidarietà con gli afroitaliani e le loro condizioni di vita.

Ieri gli attori americani (bianchi contriti) hanno fatto un video il cui dolente ritornello è «I take responsibility»: si prendono la responsabilità d’aver riso di battutacce e stereotipi, di non essersi ribellati a palesi ingiustizie, e promettono solennemente di non restare zitti se qualcuno dice una barzelletta su una minoranza, o se la polizia ammazza un nero (due circostanze evidentemente di pari gravità).

Verrà magari un giorno in cui i bianchi contriti del cinema di queste parti, invece di fare video dolenti su George Floyd, si guarderanno intorno e faranno qualche video in cui promettono solennemente di dedicarsi alla meno à la page ma altrettanto buona causa delle vite dei neri in Calabria.

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