Nelle strade segnate dalla rivolta gli slogan sono evoluti in una serie di cantilena, con botta e risposta, fino a una inventiva corale in cui alle voci maschili e a quelle femminili sono stati affidati ruoli distinti.
«No justice!» grida una voce solista, che può essere maschile o femminile, «No peace!», risponde una folla intera, in cui sono presenti in egual misura uomini o donne.
Le manifestazioni di massa di solito erano più insistentemente monotone. La gamma espressiva si è allargata. A volte i cori assumono anche toni diversi: «No justice! No peace!», declamava un insieme di voci qualche ora fa, in ritmi ansimanti – che, quando ho guardato dalla finestra, si sono rivelati essere i suoni rochi di un gruppo di ciclisti che pedalava con forza e gridava nello stesso momento.
E nel frattempo c’è il frastuono degli elicotteri della polizia, un baccano senza sosta, ora più forte ora più debole. Dà ai nervi. Riesce a essere spaventoso.
Il presidente Trump ha parlato di «cani feroci», qualche giorno fa, in un momento in cui lui stesso era spaventato dalla possibilità di un assalto alla Casa Bianca – i «cani feroci» erano quelli che lo avrebbero protetto.
Gli elicotteri sopra Brooklyn sono i cani feroci. Queste sono visioni da mitologia romana, con uomini e donne che, dal di sotto, cantano in coro. E cani sovrannaturali che girano sulle loro teste, mostrando i denti.
(Articolo pubblicato in inglese su Tablet)