Si discute da mesi del Meccanismo europeo di stabilità, ma i partiti italiani non hanno ancora capito come funziona e continuano a condannare lo strumento agitando lo spettro di condizioni che non ci sono. Non è bastato il chiarimento del direttore finanziario del Meccanismo europeo di stabilità, l’olandese Kalin Anev Janse, ha sciorinato i bassissimi costi a cui gli Stati membri dell’area euro andrebbero incontro per finanziarsi con la nuova linea di credito (-0,07% sui 7 anni e 0,08% sui dieci anni), dire di no è diventato un po’ più difficile.
Sul mercato, infatti, l’Italia quei tassi se li scorda (l’ultimo Btp decennale, collocato in asta il 3 giugno per 14 miliardi con una cedola lorda dell’1,65%, ha assestato il suo rendimento finale all’1,707%).
Ma la nuova linea di credito del Meccanismo europeo di stabilità per la copertura dei costi sanitari diretti e indiretti causati da Covid-19 (Pandemic crisis support credit line) sarà davvero condizionata? E come?
Di regola, per l’art. 7 del Reg. 472/2013, dedicato al rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri (ossia quello che ha importato nel sistema delle fonti europee il Mes, perché altrimenti il suo trattato istitutivo ne sarebbe escluso), se uno Stato membro richiede assistenza finanziaria da istituzioni o fondi come il Mes, dovrebbe elaborare un programma di aggiustamento macroeconomico. Questo programma è quello che si porterebbe dietro tutte le condizionalità (manovre di bilancio e riforme) di cui si sente tanto parlare.
L’ultimo programma di aggiustamento economico concordato fra Grecia e Mes, ad esempio (quello iniziato il 19 agosto 2015 e concluso esattamente tre anni dopo nell’agosto 2018), prevedeva che la Grecia raggiungesse un avanzo primario a medio termine pari al 3,5% del PIL, per mezzo di riforme di bilancio (come quella del regime IVA e di quello pensionistico), di una più intensa lotta all’evasione fiscale e di una più prudente gestione delle finanze pubbliche.
Lo stesso programma di aggiustamento prevedeva anche la modernizzazione dell’amministrazione statale e il miglioramento dell’efficienza della fornitura di beni e servizi pubblici essenziali.
Il programma prevedeva inoltre misure per rendere più efficiente il sistema giudiziario e rafforzare la lotta alla corruzione, nonché una maggiore indipendenza di alcune istituzioni nazionali strategiche, quali l’amministrazione delle entrate e l’autorità nazionale di statistica (che prima della crisi del debito sovrano greco aveva denotato una certa mancanza di obiettività, diciamo così).
Insomma, un mix di tagli, tasse e riforme dettati dal vincolo esterno, certo, ma quando si arriva a questo punto lo Stato membro versa in una condizione tale da mettere a rischio la stabilità dell’intera euro area.
La nuova linea di credito del Mes a supporto della crisi sanitaria, invece, opererebbe in via precauzionale, proprio per evitare che la condizione degli Stati si aggravino.
In un simile caso, è lo stesso Reg. 472/2013, a escludere espressamente condizionalità macroeconomiche, affermando che nessun programma di aggiustamento possa essere chiesto in caso di assistenza finanziaria a titolo precauzionale, né per «qualunque nuovo strumento finanziario del Mes, per il quale le norme del Mes non prevedono un programma di aggiustamento macroeconomico» (quale è la nuova linea di supporto contro la pandemia).
Quindi, per legge, niente condizionalità, niente tagli, tasse e riforme.
Di fronte a questa evidenza, qualcuno paventa, però, il rischio che il monitoraggio a cui comunque lo Stato richiedente verrebbe sottoposto, possa indurre la Commissione Ue a proporre un più rigoroso percorso di aggiustamento.
Per il Reg. 472/2013, anche in caso di richiesta di supporto precauzionale si prevede, infatti, una sorveglianza economica rafforzata quale quella prevista in generale per ogni Stato colpito da gravi difficoltà finanziarie.
Si tratterebbe di ricevere missioni di verifica, di fornire informazioni disaggregate sull’evoluzione del proprio sistema finanziario, di sottoporre le proprie finanze a stress test e analisi di sensibilità. Un po’ come giustificare il proprio operato di fronte a un collegio sindacale o a un revisore dei conti.
Ma per la linea anti pandemia tutto ciò avverrebbe in maniera molto morbida.
Il considerando 4 del Regolamento afferma che «l’intensità della sorveglianza economica e di bilancio dovrebbe essere commisurata e proporzionata alla gravità delle difficoltà finanziarie incontrate e dovrebbe tenere debitamente conto della natura del assistenza finanziaria ricevuta».
E proprio con riguardo a tale disposizione, la decisione dell’Eurogruppo dell’8 maggio 2020 ha stabilito che «il monitoraggio e la sorveglianza dovrebbero essere commisurati alla natura dello shock simmetrico causato da COVID-19 e proporzionati alle caratteristiche e all’utilizzo del sostegno per la crisi pandemica, in linea con il quadro dell’UE e le pertinenti linee guida Mes».
Insomma, un monitoraggio light.
Poi, è vero che per il comma 7 dell’art. 3 del Reg. 472/2013 se, sulla base delle missioni di monitoraggio, la Commissione giungesse alla conclusione che la situazione economica e finanziaria dello Stato membro si sia deteriorata a livello tale da comportare negativi sulla stabilità finanziaria dell’intera zona euro, potrebbe proporre al Consiglio di raccomandare un progetto di programma di aggiustamento macroeconomico.
Ma sostenere che è meglio rinunciare a finanziarsi a tassi bassi per evitare di venire “sgamati” se i conti si deteriorano, mi sembra un argomento un po’ contraddittorio. Meglio, infatti, finanziarsi a tassi bassi, proprio per evitare che i conti si deteriorino.
Per non dire del fatto che già oggi ogni Stato membro è soggetto a una procedura di monitoraggio e valutazione dei propri documenti programmatici di bilancio secondo il Reg. 473/2012 (che con il 472 forma il c.d. Two Pack), che di per sé già espone al rischio di dover giustificare un peggioramento delle proprie condizioni e di porvi rimedio.