Il cinema di Dublino si guarda a occhi chiusi. E tenendo il tempo. È una playlist in forma di immagine. Tutti cantano. Basta un giorno per formare un gruppo. Noi diciamo Musical, loro realtà. Perché nel cuore della città suonano ogni sera più di mille band. E così il cult d’Irlanda lo interpretano musicisti prestati al grande schermo. “The Commitments” (1991) è il simbolo di una città con ritmo.
«Noi di Dublino siamo i più negri d’Europa» dice il rozzo Jimmy Rabbitte (Robert Arkins). Perché se non fanno musica loro non la può fare nessuno. Ma basta con Elvis. È il turno del soul di Dublino. La rivelazione cambia la vita dei suoi amici.
«Il Soul ha il ritmo del sesso» promette, «il ritmo della fabbrica». Dublino è uno spartito, e lo suona l’operaio. Non ci sono monumenti. Il centro città appare solo a sogni infranti. C’è il Sunday Market a St. Laurence Church, tra tv rotte e vecchi nastri. E ancor prima la stazione, con il tram DART che attraversa la città sfrecciando tra le periferie. Qui nasce l’idea del gruppo. Il bassista suona in macelleria, nelle pause lavoro. La prima corista è reclutata al furgone “Fish and Chips” sul finire di Sheriff Street. Nessuno tentenna, «perché il Soul di Dublino ti tira fuori dalla merda».
A gruppo formato iniziano però i problemi. Incapaci di parlarsi i Commitments sono uniti solo sul palco. E non sempre. Ma quando le cose funzionano il film diventa concerto. Perché non esiste versione più bella di “Mustang Sally” di quella diretta da Alan Parker.
Il budget del film è tutto nella colonna sonora. Costruita con tale cura da restare un anno nella top10 Billboard. Nessun irlandese tra i cantanti. Aretha Franklin, James Carr e Wilson Pickett si insediano nei quartieri popolari di Dublino. I panni stesi sul retro di Boyne Street sventolano a tempo di “Nowhere to run”. Mentre “The dark end of the street” ritrova gli spazi di una città buia.
Quando è ora di scattare la foto del gruppo qualcuno ribatte: «possiamo avere la dogana e il pub Bridge sullo sfondo?». Ma Jimmy Rabbitte non ci sta. «Abbiamo bisogno del degrado urbano». Perché Roma non è stata costruita in un giorno, «ma Dublino sì».
In “The Commitments” tutta la speranza di una generazione. Gli esclusi da quegli anni ’80 oggi tanto rilanciati nella musica e nel cinema. Così il film di Alan Parker è diventato uno schema. L’ultimo suo emule si chiama “Sing Street” (2016). Ed è il film da vedere nei giorni più tristi. Un musical-realista in stile dublinese, ambientato nell’85. Quando l’Irlanda era tra i paesi più in difficoltà d’Europa.
I genitori di Conor (Ferdia Walsh-Peelo) si stanno separando. I soldi sono pochi e la scuola privata non è più sostenibile. Problemi a cui risponde la musica. È l’era di MTV e con Top Of the Pops si coprono le urla di papà. Ma alla Synge Street non c’è televisione. La scuola ultracattolica del quartiere medievale ha invece un motto: viriliter age. Agisci da uomo. Conor ha però altro per la testa e a Synge St. 40 cambia la sua vita.
Come nell’inno della città: «nella bella Dublino vidi la dolce Molly Malone». Solo che si chiama Raphina (Lucy Boynton) e sogna di fuggire a Londra. Come tutti. Per lei Conor fonda una band. Dalla mattina alla sera. La chiama musica futurista. «Basta con la nostalgia» dice in un film che si crogiola negli eighties.
Alla regia un musicista, John Carney. Bassista di Dublino che nel 1985 aveva l’età di Conor. Conosce la materia e la città. Per questo “Sing street” fa innamorare. La Band nata per far colpo su Raphina inizia a suonare. I ragazzi si filmano all’aperto, ma cantano in playback. È il videoclip ciò che conta. Così può partecipare anche la ragazza. Ma la musica si fa strada tra i vicoli. Ed è bellissima. Verrebbe da ascoltare ad occhi chiusi, se non fosse per Dublino. Perché i pezzi di Conor attraversano la città.
“Sing Street” sceglie una Dublino inaspettata. Come quella dei Commitments, ma con un po’ di luce in più. Al cimitero di Santa Caterina Raphina insegna a Conor che «l’amore è felice-triste». Come il film. Ma ci addentriamo nella città solo per lasciarla. Attraversato Frederick Street North in sella con i due iniziamo ad allontanarci dalle villette in mattone. La città fa spazio al mare. Sulla riva di Harbour East cantano con gli occhi all’orizzonte. Perché nei giorni buoni «puoi vedere la Gran Bretagna». Il sogno di tuffarsi mentre si è ancora “stelle perse in attesa del DART”. Ma è solo una questione di tempo. “Sing Street” chiude senza dirci cosa accade tra quelle onde. Un incanto che “The Commitments” non si era permesso.
Lì la voce di Jimmy raccontava la fine del gruppo. «Abbiamo preso strade diverse» ammetteva. Alcuni sono tornati alle proprie vite. Chi si è realizzato e chi no. Altri invece sono rimasti nel mondo della musica. Anche solo per suonare in Grafton Street. Tra vetrine e passanti resta infatti Outspan Foster (Glen Hansard). E ci rimane davvero. Perché nel 2007 il film “Once” apre con Hansard che suona di fronte ai Dunnes Stores. Più vecchio, più disilluso. Ma con una voce ancora straordinaria.
Canta a pochi passi dalla statua della “dolce Molly Malone”, che questa volta non ha nome. La conosce suonando di notte. «Come mai non canti le tue canzoni di giorno?» chiede lei, «io le ascolterei». Inizia così un altro musical dallo stile documentaristico. “Felice-triste” come “Sing Street”. Ma senza gli anni ’80.
La ragazza-senza-nome sa suonare. Nasce un gruppo. Dalla mattina alla sera. I pezzi sono dolci, anche se Hansard li urla con disperazione. Suonano “Folling Slowly” dentro Waltson. Un negozio di musica in George’s Street ora invaso da fan del film.
In “Once” non ci sono comparse. Il bassissimo budget non le ha permesse. Così Dublino è reale, come le reazioni dei passanti alla musica in scena. Ma non manca lo spazio per i sogni. Anche qui Londra, e il mare. Raggiunto dopo l’incisione del loro primo album. Corrono sulla spiaggia. Ma non è uno dei giorni buoni. La Gran Bretagna non appare all’orizzonte. “Take this sinking boat and point it home”. Si torna a Dublino. Nella speranza che nel frattempo Conor e Raphina abbiano raggiunto la costa.
La mappa dei film ambientati a Dublino