Cinema in streamingI quattro migliori film che hanno partecipato al Premio Lux da vedere prima che sia troppo tardi

Fino al 31 luglio saranno disponibili gratuitamente nella piattaforma Chili i principali finalisti del premio cinematografico assegnato ogni anno dal Parlamento europeo. Dalla ecoterrorista protagonista de “La donna elettrica” a “120 battiti al minuto”, vincitore del Grand Prix speciale della giuria al Festival di Cannes

Afp

L’estate dei cinema italiani rischia di rivelarsi un buco nell’acqua. La riapertura delle sale è ancora lontana. Con solo 120 schermi su 3000 tornati in attività. Molti spettatori aspetteranno settembre, altri si accontenteranno di ciò che possono offrire le piattaforme on demand. Un’occasione per conoscere i film più belli ma poco conosciuti del cinema europeo.

Su CHILI, fino al 31 luglio, saranno disponibili gratuitamente i principali finalisti e vincitori del Premio LUX, da 13 anni il premio cinematografico assegnato dal Parlamento europeo che promuove e valorizza la ricchezza e la diversità del cinema del Continente selezionando film prodotti o co-prodotti nell’Unione europea.

L’Europarlamento copre i costi dei sottotitoli in ventiquattro lingue per i tre film finalisti. Finanzia, inoltre, l’adattamento per il pubblico non vedente, ipo-vedente, non udente e il sostegno alla promozione internazionale del film vincitore.

Ma da cosa iniziare? Assurdi, rivelatori e quasi tutti al femminile. Ecco quattro film europei da non perdere. 

“Styx” (2018). Il grande Oceano e un piccolo peschereccio pieno di profughi. Quello di Wolfgang Fischer è prima di tutto un rapporto tra dimensioni. La vastità delle onde che minaccia l’umanità. Ma che sfida anche noi che stiamo a guardare. Quel “Noi” è nella protagonista. Rike (Susanne Wolff), dottoressa tedesca stanca del lavoro e decisa a prendersi una pausa. In barca a vela raggiunge un’isola nel pacifico. Lì però la sorpresa. Un gruppo di sopravvissuti arenati cerca salvezza. E la pausa cambia volto. Per riflettere sul diritto all’umanità “Styx” elimina l’Europa dall’immagine. Nella distanza cerca risposte, ma trova solo equivoci. Scovato il battello Ryke aiuta un profugo. Lo cura da una drammatica ustione alla schiena. Poi l’ammonizione via radio: “non presti soccorso, stiamo arrivano”. Bugie su cui scorrono le colpe di un continente. Lo Stige che titola il film fornisce un’immagine chiara. Caronte e i due mondi. E anche se Wolfgang Fischer l’ha chiamato Oceano Pacifico, le onde che dominano il film sono a pochi metri da Malta.  

“La donna elettrica” (2018). La chiamano ecoterrorista, ma risponde al nome di Halla. Lei la misteriosa paladina in lotta contro il capitale. Di giorno insegnante di canto, di notte supereroina ambientalista armata di arco e frecce. I suoi villains li conosciamo. I nemici del paesaggio. Ma in Islanda, dove questa piccola commedia si ambienta, il tema è ancora più sentito. A cambiare la vita di Halla è l’arrivo di una figlia. Dopo tanta attesa una bambina ucraina può essere adottata. Il tono è comico e surreale. A volte anche troppo. Ma il film di Benedikt Erlingsson entra nei cuori. Halldóra Geirharðsdóttir è bravissima nel doppio ruolo di se stessa e della sua gemella. E in un certo senso di tutte quelle donne in lotta per un’ideale. Quando fugge dagli elicotteri della polizia il film cambia registro. Si fa action, poi ancora comedy (con un che di musical) e conclude sul sociale. Senza mai fermarsi, “La donna elettrica” ci risveglia dal torpore e ci consegna all’assurdo del reale.

“Dio è donna e si chiama Petrunya” (2019). Nella piccola città di Stip, in Macedonia, c’è una tradizione. Ogni anno una croce viene gettata nel fiume. Gli uomini del paese se la contendono. Fortuna e buona sorte attende il vincitore. Un giorno però l’usanza viene stravolta. Una donna ha afferrato la croce. Si chiama Petrunya. E come “la donna elettrica” di Erlingsson manda in blackout la società. Il gesto avventato la conduce dalla polizia. Come si è permessa? Le chiedono. Ma Petrunya non ha intenzione di mollare. La vicenda attira l’attenzione di alcuni giornali e le cose iniziano a cambiare. La misoginia è però lontana dallo scomparire. Perché il film di Teona Strugar non si accontenta dei gesti eclatanti. Fa un passo in più. Riflette sulle radici del problema. Se ne esce storditi dalla completezza. Perché “Dio è donna e si chiama Petrunya” racconta un nemico invisibile e quotidiano. È la tradizione messa in accusa. Sotto forma di società, religione o famiglia.

“120 battiti al minuto” (2017). Il film di Robin Campillo è stata una piccola rivelazione. Perché nella sua semplicità dall’anima documentaristica racconta una storia importante. Siamo nella Francia degli anni ’90. L’emergenza AIDS è ancora in corso. L’ignoranza il suo più grande alleato. Per questo Act Up, movimento di attivisti gay, scende in piazza. Dimostrazioni non violente per risvegliare l’opinione pubblica. La storia del gruppo appassiona. Anche per la sua specificità storica. Campillo colora le immagini di eventi. Richiama una lotta epocale. Con emozione e senza patetismi. A Cannes ha vinto il Gran premio della Giuria. In Italia è stato un flop. Ma (ri)vederlo nel mese del Pride è un regalo da farsi.