«Riflessivo e determinato sono le prime due parole che mi vengono in mente per descriverlo, nel senso che ama le cose fatte bene, e sa immaginare il percorso migliore per raggiungere gli obiettivi che si è preposto», dice a Linkiesta Massimiliano Manfredi, ex deputato del Partito democratico e fratello di Gaetano, ministro dell’Università e della Ricerca.
Un carattere mite, comportamenti sempre misurati e apertura al dialogo. Il profilo di Gaetano Manfredi non va mai troppo lontano da questa descrizione nelle parole di chi lo conosce.
Dopo un periodo iniziale dell’emergenza in cui è rimasto sullo sfondo, nelle ultime settimane Manfredi è diventato uno dei protagonisti, anche mediatici, di questa nuova fase della crisi.
È intervenuto più volte pubblicamente per annunciare i provvedimenti previsti dal suo ministero. Ma non era scontato che fosse in grado di ottenere risultati in breve tempo. Per quantificare i risultati basta ricordare la cifra stanziata dal decreto Rilancio: Manfredi è riuscito a strappare un finanziamento da 1,4 miliardi, con la cifra che secondo alcune indiscrezioni sarebbe aumentata di bozza in bozza, dai 300 milioni di partenza fino alla cifra attuale. Determinato nel raggiungimento dell’obiettivo, appunto.
Un altro segnale, meno evidente, arriva dai social: prima di diventare ministro non li usava molto ma negli ultimi tempi ha concesso una deroga per avere una comunicazione più diffusa e costante.
La carriera da ministro non era neanche lontanamente in programma. «Dopo aver fatto il Liceo Classico Carducci a Nola, dove siamo cresciuti, Gaetano voleva fare il giornalista, poi ha cambiato idea e ha scelto la facoltà di Ingegneria alla Federico II, seguendo le orme di nostro padre, che poi avrei seguito anch’io», dice Massimiliano Manfredi.
Dal padre ingegnere, Gaetano Manfredi ha ereditato la passione per progetti e disegni. Ma la scelta della facoltà è merito anche dell’insegnante di matematica del liceo, che lo convinse proprio al termine della maturità.
Per il fratello minore, l’attuale ministro dell’università è stato un riferimento (hanno 10 anni di differenza), «quasi un secondo padre, per via della differenza di età. Poi abbiamo fatto ingegneria e siamo riusciti a compiere quello che per nostro padre era un sogno, cioè fare carriera politica o accademica. In due siamo riusciti a farle entrambe, ma è stato merito dei nostri genitori, che pur venendo da famiglie umili della provincia di Napoli hanno sempre insistito per farci studiare», dice Massimiliano Manfredi.
«Per seguire le lezioni faceva il pendolare da Nola, era uno studente brillante, si è laureato con 110 e lode ma impressionava di più per la vasta sua cultura», dice a Linkiesta Edoardo Cosenza, presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Napoli, che quand’era assistente ha seguito la tesi di laurea di Manfredi. «Era un ragazzo silenzioso, molto alto, magrissimo. Aveva una grande conoscenza umanistica, tant’è vero che era diventato amico del filosofo Aldo Masullo, scomparso da poco».
La sua strada è sempre stata nel mondo accademico. Nel 2000, a soli 36 anni (classe 1964) Manfredi diventa professore ordinario in Tecnica delle costruzioni. È anche autore di nove libri e oltre 400 pubblicazioni scientifiche, con un grande impegno nella ricerca nel campo dell’ingegneria sismica.
«Negli anni – dice Cosenza – abbiamo sviluppato una grande amicizia. Ricordo un viaggio all’inizio degli anni ‘90 negli Stati Uniti, attraversammo in macchina gli Stati Uniti e arrivammo fino a Key West in Florida. Lui riesce ad essere di compagnia pur essendo silenzioso, ha una grande cultura che gli permette di affrontare i discorsi di ogni tipo. Ha un repertorio di citazioni e di conoscenze sconfinato. Anche per questo in facoltà era uno dei migliori, poi ha deciso di mettere la sua conoscenza al servizio dell’università».
Anche da ministro ha fatto una scelta ponderata: ha preso solo il ministero di sua stretta competenza, Università e Ricerca. «Non ne abbiamo la certezza – dice Giulio Zuccaro, professore di Scienza delle costruzioni alla Federico II – ma il fatto che il ministero sia stato spacchettato deve averlo aiutato nella decisione: il suo mondo è l’università e lì vuole essere un valore aggiunto». Poi conclude il pensiero: «Lui ha dedicato la sua conoscenza all’università, d’altronde non è un politico, almeno non nell’accezione di quella politica urlata che vediamo oggi, anzi preferisce il dialogo e il confronto».
Quando si è candidato al rettorato nel 2014, dopo essere stato Prorettore, è stato eletto con il 90 per cento delle preferenze, un plebiscito. Poi si è ripetuto un anno dopo quando è stato eletto presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), con 66 voti su 69, e successivamente rieletto. «Nel mondo accademico tutti conoscono il suo valore e sapevano che non avrebbe avuto senso creare un fronte di opposizione», spiega Cosenza.
Da rettore della Federico II si è presentato con un discorso di insediamento ottimistico: «La percezione esterna della qualità di questo ateneo è molto inferiore alla qualità reale. L’impegno è di lavorare per portare a conoscenza di tutti le nostre eccellenze».
L’eredità più grande del suo mandato da rettore – che scadrà il 31 ottobre – è l’inaugurazione della Apple Ios Developer Academy: la prima scuola europea per sviluppatori di app nata nel quartiere di San Giovanni a Teduccio a Napoli, grazie alla partnership con l’azienda di Cupertino.
Ma non solo. «Come rettore ha anche operato molto bene per migliorare la posizione della Federico II, come visibilità e come professori che ha portato nelle nostre facoltà, e ha avuto il grande merito anche di ripianare il deficit di un’Università che 10 anni fa era un’azienda in rosso», dice a Linkiesta Sandro Staiano, Direttore del dipartimento di Giurisprudenza dell’ateneo federiciano.
Negli ultimi anni è stato anche coordinatore e responsabile di molti progetti scientifici finanziati dall’Ue, dal Miur, dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Ha messo i suoi studi nell’ingegneria sismica al servizio dello Stato, ad esempio dopo il terremoto di San Giuliano del 2002, o quelli del 2016 che hanno devastato il centro Italia.
Oppure, ancora, è stato tra gli ingegneri protagonisti della ricostruzione dopo il terremoto de L’Aquila, con quel Progetto Case che però gli ha portato anche diversi problemi: nel 2015 è finito nel registro degli indagati dalla Procura de L’Aquila per i crolli a Cese di Preturo, ricostruita appunto dopo il terremoto del 2009.
In quell’occasione Manfredi era nella commissione di collaudo delle costruzioni realizzate: è stato accusato di falso ideologico in atto pubblico, per aver attestato la conformità dell’opera realizzata che invece non sarebbe stata a norma.
Adesso nel suo ruolo da ministro si trova in una posizione inedita. In politica era stato solo per una breve parentesi: nel biennio 2006-2008 durante il governo Prodi II è stato nominato consigliere del ministro per le Riforme e le innovazioni della Pubblica Amministrazione Luigi Nicolais (Democratici di sinistra), mentre suo fratello Massimiliano era a capo della segreteria di Nicolais.
Da lì, però, ha sempre allontanato la possibilità di entrare in politica, nonostante gli inviti a candidarsi a sindaco o presidente della Regione. «Per cambiare la nostra società ognuno si deve impegnare al massimo nel suo ruolo. La politica lasciamola fare ai politici», aveva detto qualche anno fa lui stesso.
Appena dieci giorni prima di diventare ministro – nelle vesti di presidente Crui – aveva criticato il governo per una legge di Bilancio «che ha dimenticato l’università, non prevedendo nessun investimento, nessun segnale di attenzione».
Poi è arrivata la chiamata da ministro e probabilmente i primi festeggiamenti sono stati proprio del mondo accademico: fin dal suo insediamento sono arrivati i primi endorsement dei rettori. «Avere al ministero un collega che conosce l’università non può che essere gradito», dice il rettore dell’ateneo di Siena Francesco Frati. «Chi meglio di lui può sapere di cosa c’è bisogno e può convincere il governo a impegnarsi per un settore cruciale nello sviluppo di un paese».
Professori e rettori solitamente sono molto critici con chi è a capo del ministero dell’Istruzione. Il professor Zuccaro dice che «storicamente i ministri non conoscono l’università. Sia d’esempio la riforma Gelmini: doveva abolire il precariato tra i ricercatori. L’abbiamo criticata prima, durante e dopo perché invece aveva peggiorato la situazione. Era chiaro che fosse una riforma fatta da gente che non conosce l’università».
Ma per Manfredi non c’è solo fiducia incondizionata. «Penso di poter dire che il ministro finora abbia fatto e stia facendo bene – spiega il rettore Frati – le risorse e l’attenzione che l’università ha avuto nell’ultimo decreto Rilancio sono testimonianza del suo buon lavoro. Mentre negli ultimi anni abbiamo visto quasi solo tagli ai fondi e investimenti irrisori. Il primo merito di Manfredi è l’attenzione agli studenti e sostenere il diritto allo studio. Il secondo è l’attenzione alla ricerca, con un programma che prevede 1600 nuovi posti per i ricercatori e l’assunzione di altri 10mila nei prossimi 5 anni».
Un consenso che si rafforza ancor di più nel Mezzogiorno, non tanto e non solo perché napoletano e rettore della Federico II, ma perché in passato ha dimostrato di intendere lo sviluppo del sistema universitario nazionale solo se omogeneo in tutto il territorio.
Lo spiega a Linkiesta il professore di Biomedicina dell’Università di Palermo Francesco Cappello: «Negli ultimi anni abbiamo lodato la rincorsa dei migliori atenei italiani a quelli europei. Ma ci siamo anche dimenticati di occuparci dello sviluppo delle università più piccole, soprattutto al Sud. Manfredi conosce questa distanza, e già in passato si era speso per una crescita più uguale».
Nel suo saluto al Convegno sul Regionalismo differenziato tenutosi alla Federico II a maggio 2019, Manfredi aveva detto: «La Crui rifiuta il regionalismo delle università. Parliamo di un’istituzione globale che non si può chiudere nel perimetro di una regione o di una macroregione, sarebbe la negazione della sua funzione».
Carattere mite, moderato e razionale, conoscenza del mondo accademico, rapidità ed efficacia nel rispondere all’emergenza: sono gli strumenti usati da Manfredi da ministro dell’Università durante la più grande crisi del mondo accademico. E i risultati lo stanno premiando.
«A settembre si tornerà in aula: le sedi universitarie riapriranno con nuovi modelli organizzativi e nel rispetto del distanziamento fisico. Perché le università sono anche un luogo di confronto tra persone», ha ribadito più volte il ministro.
«Aveva anche spinto per fare esami in presenza in estate – dice Cappello – nei luoghi dove l’emergenza è contenuta. Poi c’è un margine di autonomia degli atenei, e molti non hanno seguito il suggerimento purtroppo».
Su quest’ultimo punto – come sul rifiuto di installare barriere in plexiglass nelle aule – il ministro Manfredi sembra aver preso le distanze dalla collega Lucia Azzolina (ministro dell’Istruzione), che invece si è prodigata a chiudere prima di tutti gli altri paesi europei la scuola senza però aver ancora trovato come e quando riaprirla.
La posizione di Manfredi è una sostanziale difesa del diritto allo studio a tutti i costi. Va proprio in questa direzione uno degli interventi resi possibili dal decreto Rilancio: «Un intervento per il diritto allo studio che va in tre direzioni: riduzione delle tasse, aumento del fondo per le borse di studio, e un contributo agli studenti per contrastare il digital divide», ha annunciato il ministro.
In particolare, si tratta di un investimento di 290 milioni di euro: no tax area fino a 20mila euro di reddito Isee; un fondo per le borse di studio; nuovi bonus per colmare il digital divide che ostacola lo svolgimento di esami e lezioni a distanza. E poi l’impegno per la ricerca: un investimento da 250 milioni per 4.000 posizioni di ricercatori e 550 milioni per un piano di ricerca nazionale.
«L’università non si è fermata – dice ancora il direttore del dipartimento di Giurisprudenza della Federico II, Sandro Staiano – ma adesso deve offrire uno spunto sul medio periodo. I nostri atenei devono fare tesoro di quanto fatto durante la crisi e sviluppare i servizi telematici per chi avrà più difficoltà a frequentare in presenza. In questo caso, come accade in molti campi del sapere, dalla contaminazione tra passato e presente deve venir fuori il futuro dell’università italiana, più rapida, smart ed efficiente».
Il dato incoraggiante è che il numero di esami e di lezioni, in queste settimane, è rimasto stabile sui livelli precedenti, come se non avesse risentito dell’emergenza. Ma storicamente in situazioni di eccezionale difficoltà gli atenei subiscono una flessione in termini di immatricolazioni e di abbandono degli studi: solo con l’inizio di quest’anno accademico, 2019/2020, si era riusciti a tornare ai livelli pre-crisi del 2008 in termini di iscrizioni.
Nel futuro immediato l’università si trova ad affrontare una grande sfida. Da una parte le possibili conseguenze negative di una crisi, dall’altra i margini di miglioramento per un paese abituato a spendere ancora molto poco nel settore: l’Italia destina la quota del Pil più bassa in Europa per l’università, lo 0,3 per cento.
Da qui nasce il programma messo in campo finora dal ministro Manfredi: insistere soprattutto con politiche rivolte a chi l’università la vive e la fa vivere – gli studenti – e in seconda battuto con governo per costruire una visione di lungo periodo che non si limiti all’ordinaria amministrazione. Perché l’ordinaria amministrazione potrebbe non bastare più.