È straziante vedere autorevoli ministri e affermati dirigenti del Partito democratico costretti a ripetere quotidianamente su giornali e tv, a beneficio dei loro alleati grillini, quanto sia importante per la sanità italiana non rifiutare 36 miliardi di euro – a un tasso prossimo allo zero, nel pieno di una pandemia mondiale, in un paese con un debito pubblico lanciato verso il 170 per cento del Prodotto interno lordo – col tono con cui certi genitori molto democratici tentano di convincere figli poco più che neonati dell’importanza di mangiare le verdure.
È straziante, e anche un po’ imbarazzante, assistere alla quotidiana sfilata di illustri politici, personalità e padri nobili intenti a ricominciare la predica sempre da capo, a rispiegare pazientemente che non siamo proprio nella posizione migliore per fare gli schizzinosi. Seguiti puntualmente dalle dichiarazioni di Giuseppe Conte che minaccia di mettersi la scodella in testa per far dispetto ad Angela Merkel, poi dice che ci deve ancora pensare, poi che dipende, poi che non sa se gli va, e infine, come riporta testualmente il Corriere della sera di sabato, che «una decisione non è stata presa, ma in questo momento prevalgono le ragioni del no».
In questo momento prevalgono. Ma dove? In quale borsino? Dov’è esattamente che si svolge questo scontro tra opposte ragioni, quest’aspra tenzone di argomenti e di idee: nella testa di Conte, in quella di Rocco Casalino o forse nel conto dei mi-piace e dei non-mi-piace raccolti su Facebook? Ma a voi – a voi che ogni giorno parlate e scrivete di questa roba con il fare sussiegoso che si deve alla fine analisi politica – a voi sembra una cosa seria?
Comunque vada a finire, questa incredibile telenovela sta già distruggendo quel niente che restava della nostra credibilità, in Europa e sui mercati. Ogni giorno di più, l’Italia paga il conto di questo triste spettacolo, in cui i dirigenti del Pd rilasciano ragionevolissime interviste, mentre il loro presidente del Consiglio o qualche altro collega del Movimento 5 stelle grida l’esatto contrario, simili a quel genitore del film – «Figli» di Giuseppe Bonito, tratto dal monologo di Mattia Torre – che dispensava all’amico consigli sulla vita famigliare mentre i suoi due bambini lo percuotevano ripetutamente sulla schiena con le loro spade di gomma, costantemente e implacabilmente, senza che lui sembrasse neanche farci più caso.
Ieri è stata la volta – l’ennesima – di Nicola Zingaretti, che sul Corriere della sera ha scritto un lungo articolo, con tanto di elenco in dieci punti dei buoni motivi per cui, cari bambini, adesso è proprio venuta l’ora di accettare il Mes. Non mi dilungo sul problema della forma – comunque indicativo, anche perché non nuovo – di cui offro un solo esempio. Dopo aver detto che le destre cavalcano i problemi invece di risolverli, scrive il segretario del Pd: «Il motivo è semplice sui problemi delle persone ci campano e poco importa se, non risolti aggravano la situazione» (sintassi e punteggiatura dell’autore).
Ma è evidente l’intento di venire incontro ai gusti e alle attitudini dei suoi interlocutori, cui si rivolge in modo piuttosto didascalico, senza timore di ripetersi, anche laddove i titoli dei diversi punti non sembrerebbero richiedere ulteriori spiegazioni. Due esempi. Punto 4: «Dare più forza alla medicina di base – Più medici di base, risorse e implementazione delle unità mobili di assistenza domiciliare e degli infermieri di famiglia e comunità, degli psicologi di cure primarie». Punto 9: «Ampliare le borse di studio – Maggiori risorse per le borse di studio per gli studenti meritevoli ma in difficoltà economiche». Per gli altri otto punti – dall’immancabile digitalizzazione alla inevitabile modernizzazione – credetemi sulla parola.
Non c’è bisogno di farla più lunga. O di riprendere tutte le vibranti dichiarazioni di ministri e sottosegretari sulle inaccettabili falsità di Matteo Salvini contro il Mes, dimenticandosi di quelle dei loro colleghi di governo. E qui, partiti da «Figli», dovremmo tornare alle origini della comicità italiana. Alla celebre gag di Totò che racconta ridendo di come un tizio lo avesse aggredito urlando: «Pasquale, figlio d’un cane!». E lui fermo lì a farsi insultare e prendere a pugni, per vedere «questo scemo dove vuole arrivare». E sempre più divertito, perché tanto, lui, mica si chiamava Pasquale.
Comunque si concluda la telenovela, un simile spettacolo dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio il fallimento dell’approccio montessoriano seguito dal Pd con i Cinquestelle. E questa, sia chiaro, non è una colpa che possa essere addebitata a Maria Montessori, le cui teorie sono state confermate puntualmente: lasciati liberi di esprimersi, senza che i premurosi maestrini del Pd si sognassero di coartarne in alcun modo la volontà, i Cinquestelle hanno potuto seguire pienamente la propria natura. Che sfortunatamente, ma non imprevedibilmente, non è quella di un partito progressista, europeista e riformista, come da qualche anno tenta di farci credere in ogni modo un nutrito gruppo di neo-montessoriani.