MaydayPer salvare Alitalia, si fanno scappare le compagnie low cost

Ryanair, EasyJet e altre compagnie sono sul piede di guerra contro due articoli del decreto rilancio che le escludono dagli aiuti del Fondo di ristoro per il settore. Castioni, presidente Aicalf, dice: «È una norma discriminatoria». E ora minacciano di abbandonare molti aeroporti italiani, con migliaia di licenziamenti

BENOIT DOPPAGNE / BELGA / AFP

A far saltare il banco tra le compagnie aeree low cost e il governo sono state due norme del maxi decreto rilancio, che all’apparenza sono stati messe lì per soccorrere per l’ennesima volta Alitalia. E che invece ora rischiano di ridurre, e non poco, le rotte di Ryanair, EasyJet e colleghi sui cieli italiani. Con il pericolo che i vettori facciano le valigie da molti aeroporti nazionali, inclusi quelli più piccoli che sui voli low cost hanno costruito grossi indotti turistici.

I due articoli “incriminati” sono il 198 e il 203, che obbligano le compagnie ad adottare il contratto nazionale collettivo di Alitalia e ad avere un certificato di operatore aereo italiano per accedere agli aiuti del Fondo di ristoro del settore aereo da 130 milioni previsto nel decreto. Escludendo di fatto tutto il mondo delle compagnie low cost che, per la prima volta, hanno deciso ora di fare fronte comune con la costituzione della nuova Associazione italiana compagnie aeree low fares (Aicalf).

Ryanair, Easyjet, Blu Air, Volotea e Vueling hanno messo in piedi l’Aicalf il 12 maggio scorso, proprio a pochi giorni dalla approvazione del decreto rilancio, affidando la presidenza all’avvocato Matteo Castioni, legale di Ryanair in diverse battaglie in tribunale. Un comparto che da solo rappresenta ormai più del 50% del traffico aereo di corto raggio e una parte significativa di quello a lungo raggio, ma che ancora non si era dotato di una propria associazione datoriale.

«Il decreto rilancio ha fatto da catalizzatore per far nascere questa associazione che era in gestazione da molti mesi», spiega Castioni. «Le low cost si sono sentite poco rappresentate e poco ascoltate, per cui è stato deciso che era arrivato il momento di associarsi per far arrivare le nostre posizioni alla componente politica. Le norme contenute del dl rilancio sono discriminatorie e non tutelano il settore nel suo complesso e chi sta creando valore e occupazione in Italia. Occorre estendere la possibilità di accedere al Fondo di ristoro per il trasporto aereo a tutti i vettori che hanno basi e personale nel Paese». E il messaggio è arrivato forte e chiaro in Parlamento.

Tra i quasi diecimila emendamenti al decreto rilancio arrivati in Commissione Bilancio alla Camera, ce ne sono tre che propongono modifiche all’articolo 198 e ben 14 per l’articolo 203, firmati dalle diverse forze politiche di maggioranza e opposizione. Tutti con l’obiettivo di allargare l’accesso ai fondi anche ai vettori con licenza non italiana e a quelli che hanno stipulato contratti aziendali con le organizzazioni sindacali del settore.

Ad oggi, le compagnie che operano con licenzia italiana di fatto sono solo tre: Alitalia, Neos e Air Dolomiti. E il contratto collettivo nazionale del settore non è altro che il contratto negoziato e sottoscritto nel luglio 2014 da Assaereo per Alitalia. Che non è, inutile a dirlo, quello applicato dalle low cost, che hanno stipulato invece ciascuna contratti aziendali differenti. «Il contratto nazionale di fatto non esiste», dice Castioni. «Assaereo ha un solo iscritto, e cioè Alitalia. E quel contratto riflette un modello di business che non può essere applicato alle low cost». Attenzione, però, precisa il presidente della neonata associazione: «Questo non significa sfuggire alla tassazione e all’applicazione delle norme italiane. Blue Air, easyJet, Norwegian, Ryanair, Volotea e Vueling applicano tutte contratti di lavoro di diritto italiano al proprio personale di volo e la maggior parte ha stipulato contratti collettivi aziendali con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nelle compagnie, pagando le tasse sul reddito e i contributi in Italia. Occorre il pieno riconoscimento della validità di questi contratti aziendali».

La norma del decreto rilancio, forse, voleva essere anche un modo per tutelare i lavoratori delle low cost, ma ora rischia di trasformarsi in un’ondata di licenziamenti e abbandoni degli scali italiani, con conseguenze disastrose sul turismo, in un momento di estrema difficoltà per il settore. Così, mentre il ministro degli Esteri Luigi Di Maio invita i turisti a venire in Italia, i voli potrebbero non esserci più. Ecco perché ora si sta correndo ai ripari.

«Stiamo uscendo da tre mesi di blocco», dice Castioni. «Tutto il settore aereo ne esce in grossa difficoltà, dopo aver azzerato per tre mesi l’intera operatività e i flussi di cassa. In questi tempi senza precedenti, le istituzioni dovrebbero intervenire proteggendo il settore nel suo insieme e non una singola compagnia, evitando di adottare misure protezionistiche con il rischio di determinare una distorsione della concorrenza tra vettori».

Ryanair ha annunciato che dal 1 luglio ripristinerà il 40% dei voli. EasyJet riprenderà il 50% delle sue rotte. Ma con i voli ridotti a metà e senza aiuti statali, spiega Castioni, «sarà difficile mantenere le tariffe basse avute finora e lo stesso personale pre-Covid». EasyJet ha chiesto la cassa integrazione per 1.500 dipendenti italiani, e la casa madre ha già annunciato un taglio di 4.500 posti di lavoro. Ryanair ha parlato invece di circa 3mila licenziamenti in vista. «Eventuali aiuti servirebbero ad abbassare il costo della produzione in modo da continuare a garantire alti livelli di connettività e calmierare i prezzi, evitando il rischio di un incremento».

Lo stesso Michael O’Leary, numero uno di Ryanair, dalle pagine del Financial Times ha preso di mira gli aiuti di Stato alle compagnie e in particolare le norme del decreto rilancio che sostengono solo le compagnie italiane.

Il 5 giugno era attesa la doppia audizione con i ministri Paola De Micheli e Stefano Patuanelli sul settore aereo in Commissione Trasporti della Camera. Ma con la seduta fiume sul decreto scuola in aula, l’audizione è slittata ora a data da destinarsi. La ministra De Micheli ha precisato comunque che «il governo ritiene di dovere fare di tutto per rilanciare Alitalia permettendole di operare in una condizione di mercato nazionale e internazionale totalmente diversa da prima, ma non c’è alcuna intenzione e nessun interesse a danneggiare le low cost».

Le compagnie però sono sul piede di guerra e minacciano di fare le valigie. Ad oggi i vettori low cost contano circa 6mila dipendenti in Italia. E ogni anno trasportano 75 milioni di passeggeri. Volando anche su aeroporti minori che, anche grazie ai famosi accordi di co-marketing, hanno fatto rinascere il turismo in diverse aree del Paese. Secondo una stima conservativa, ogni milione di passeggeri genererebbe mille posti di lavoro sui territori. «Davanti a questa crisi, tutte le compagnie dovranno prendere delle decisioni», avverte Castiano. «Inclusa la possibilità di dirottare alcuni aerei basati in Italia in altri Stati. L’adozione di misure protezionistiche da parte del governo potrebbe incentivare l’abbandono di molti aeroporti nazionali da parte dei vettori stranieri, con il conseguente licenziamento di migliaia di persone impiegate nel settore aereo». Il governo è avvertito.

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