Contratti a termine e decreto dignità. Eccolo l’altro argomento, dopo i decreti sicurezza, che in queste ore divide (e non poco) la maggioranza di governo. Il vessillo dei Cinque Stelle, insieme al reddito di cittadinanza, è nel mirino del ministero del Tesoro. L’ipotesi, avanzata dallo stesso ministro Roberto Gualtieri, è di derogare per altri quattro mesi all’obbligo di mettere la causale per il rinnovo dei contratti a tempo determinato dopo i primi 12 mesi. Quindi andando oltre la soglia del 30 agosto, già prevista nel decreto rilancio. Ma la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo frena: «Non si va oltre».
La proposta che arriva dal Tesoro poggia sulle evidenze dei primi dati sul lavoro che riguardano i mesi di lockdown, quando già quasi 400mila lavoratori a tempo sono stati lasciati a casa. Secondo i tecnici del Mef, se la deroga inserita nel decreto rilancio non viene estesa anche sulle nuove stipule e non solo sui rinnovi, già a settembre potremmo trovarci con un milione di occupati in meno.
Il nodo è tutto politico. Perché quel decreto dignità, con la reintroduzione della causale in chiave anti Jobs Act, è stato il primo provvedimento di Luigi Di Maio alla guida del ministero del Lavoro nel governo Conte 1. Un provvedimento simbolo per i Cinque Stelle, che ha ridotto la durata dei contratti a termine da 36 a 12 mesi. E aggiunto l’aggravio di un contributo addizionale dello 0,5% della retribuzione per ogni rinnovo. La possibilità di arrivare a 24 mesi c’è, ma solo con esplicite causali. Se le aziende non motivano con una delle causali previste il rinnovo, dopo un anno il contratto si trasforma a tempo indeterminato.
Paletti che se già non andavano bene prima della pandemia, ora rischiano di lasciare a casa centinaia di migliaia di lavoratori, che già oggi – almeno finché è in vigore il divieto di licenziamenti – sono gli unici ad aver pagato la crisi. La richiesta di una modifica arriva sia dalla Confindustria, ma anche dalla Cisl.
Ma i Cinque Stelle difendono il provvedimento bandiera che voleva «abolire la precarietà». «Prima di lanciare queste proposte il ministro Gualtieri farebbe bene a parlare con la maggioranza di questi temi», dice Davide Tripiedi, vicepresidente Cinque Stelle della Commissione Lavoro della Camera. Il Pd, per il momento, si ferma a voler prolungare la finestra temporale in deroga. Mentre Italia Viva punterebbe a rivedere in profondità il decreto grillino.
Catalfo, intanto, preme per estendere fino a fine anno sia il divieto di licenziamento sia la cassa integrazione. Ma al Mef la posizione è diversa. Gualtieri ha già detto che non si può andare avanti a congelare i licenziamenti «indefinitamente». E sulla cassa integrazione si pensa a una proroga limitata per la quale comunque si dovrà chiedere un altro scostamento di bilancio al Parlamento, seguita poi da un sistema di decontribuzione sui contratti per i settori più in difficoltà. In modo da convincere gli imprenditori a non licenziare, a patto di uno sconto totale sui contributi. Non una misura generalizzata come quella prevista dalla legge di bilancio del 2015, che affiancava il Jobs Act con il miraggio di incentivare i contratti stabili, ma un intervento limitato ai comparti più in sofferenza, e soprattutto limitato nel tempo.
Le distanze sono ancora nette. Nel frattempo si cerca una mediazione. «I ministri dell’Economia e del Lavoro stanno lavorando in modo congiunto alle misure necessarie a sostegno delle imprese, dell’occupazione e di tutte le categorie di lavoratori per i prossimi mesi», si dice in un comunicato. Ma trovare una sintesi sarà faticoso. E la riunione dei capigruppo ha già stabilito lo slittamento al 29 giugno dell’approdo in aula del decreto rilancio.