Almeno tre cose accomunano Bruxelles e Strasburgo: il clima uggioso, una rete capillare di tram, il Quartiere europeo. Dimenticavo la quarta: un esercito di bici. Proprio in bicicletta ho iniziato il mio viaggio al centro delle istituzioni europee. Era la fine di agosto del 2017 e partivo per l’Erasmus: destinazione Strasburgo, meta ideale per una studentessa di scienze politiche.
Avevo ottenuto un posto nella residenza universitaria Paul Appell. Per Google Maps si trovava in Germania, in realtà era in Francia; ma, come ho già detto, basta distrarsi un attimo e ti ritrovi in terra teutonica. La più antica organizzazione internazionale è nata qui, a Strasburgo, nel 1815: la Commissione centrale per la navigazione sul Reno, che serviva a evitare conflitti e garantire la libertà di navigazione fra i paesi attraversati dal fiume. Oggi ne fanno parte Germania, Belgio, Svizzera, Francia e Lussemburgo. Perché è sempre sui confini che nascono i problemi ma, spesso, anche le soluzioni.
Batîment D, secondo piano, stanza numero 204. Ero arrivata con due valigie da venti chili, un microonde e un piumone sotto vuoto per il lungo inverno. Non sarebbe stato facile incastrare tutto nella mia camera, che sembrava più una cuccetta di nove metri quadrati, ma fuori c’era il sole e uscii. Mi serviva una bici, così andai subito alla stazione di noleggio Vélhop.
Acciaio satinato lucente, cambio a più marce, cestino rinforzato verde smeraldo, dinamo davanti e dietro, ruote da fuoristrada. Più che un velocipede, pareva un ariete da sfondamento, con le corna per manubrio. Mappa cartacea nel cestino e mappa digitale sul cellulare, comincio a pedalare alla volta del Quartiere delle istituzioni europee. Mi sbarrano la strada due agenti della gendarmerie, armati. Freno immediatamente.
Mi spiegano che in bici il telefono non si può usare, come non si può bere e poi mettersi alla guida. Mi scuso, i poliziotti capiscono la mia buona fede, saluto e riparto. Mi perdo fra le stradine e i canali, ed è un piacere: una miriade di ponti si susseguono a perdita d’occhio, ornati da vasi di gerani rossi.
Attraverso un ponte in ghisa verde e arrivo su un’isoletta racchiusa tra i due bracci dell’Ill, il cuore di Strasburgo. È la parte vecchia della città, la Petite France, vedo le deliziose maisons à colombages, case a graticcio con il tetto spiovente e le travi a vista sulle facciate. Sembrano antichi cruciverba, e per caselle hanno persiane colorate. Una fiaba, poi scopro che qui stavano in quarantena i malati di sifilide.
Il cielo è di un azzurro così nitido che i salici brillano, mentre sullo specchio d’acqua sfumano i contorni e i colori delle case. Sono finita dentro un quadro impressionista. All’orizzonte si staglia l’Ena, la Scuola nazionale di amministrazione per gli alti funzionari dello stato, da cui sono usciti diversi presidenti della Repubblica francesi, da Valéry Giscard d’Estaing a Jacques Chirac, da François Hollande a Emmanuel Macron. Non ci sono solo uomini importanti, qui a Strasburgo.
Poco più avanti, mi imbatto nella stele in memoria di Louise Weiss, “Pioniera della lotta per la pace, per il diritto di voto delle francesi, per la costruzione europea. Fu la decana del primo Parlamento europeo eletto a suffragio universale”. Poche parole scolpite per non dimenticare una donna che ha dedicato anima e corpo all’Europa e alle donne.
Nel lontano 1918, infatti, Louise fondò “L’Europe Nouvelle”, una rivista dedicata allo studio e all’elaborazione di “una scienza della pace”, da cui trarrà origine la Nouvelle Ecole de la Paix: una scuola dove si studia la guerra per prevenirla.
In un’intervista del 1971, Weiss ricordò come le donne francesi fossero state fondamentali per la costruzione della pace, per quanto non avessero avuto alcun diritto di cittadinanza fino al 1944. Per questo, da suffragetta e con l’associazione da lei costituita, La femme nouvelle, si era battuta per le pari opportunità: finalmente, nel 1944, le francesi avevano ottenuto il diritto di voto, concesso con un’ordinanza dal generale de Gaulle.
Nel 1979, Louise Weiss ormai ottuagenaria venne eletta deputata europea nelle file del partito gollista Raggruppamento per la Repubblica: la pace andava di pari passo con la costruzione europea e Louise ne era profondamente convinta. In sella al mio ariete passo un altro ponte, fatto di tre “ponti coperti”, sotto cui un tempo trovavano riparo i guerrieri schierati a presidiare la città. Percorro quai de Bateliers, quai de Pêcheurs, quai du Chanoine Winterer e finalmente appare: imponente, luccicante, modellato sull’ansa del fiume e convesso come un anfiteatro romano. È il Parlamento europeo, interamente ricoperto di vetri, e riflette il fiume che a sua volta lo riflette, con un effetto ottico travolgente.
Tra il 7 e il 10 giugno del 1979 si tennero nei paesi membri le prime elezioni europee. Il 62%, in media, degli aventi diritto andò alle urne. Fu un successo, ma gli elettori non erano tutti entusiasti e partecipi allo stesso modo: se in Italia l’affluenza sfiorò l’86%, nel Regno Unito superò di poco il 32%.
Dichiarò nell’aula parlamentare di Strasburgo Simone Veil, prima presidente del Parlamento eletto: “È la prima volta nella storia, una storia in cui così spesso siamo stati divisi, contrapposti, dediti alla distruzione reciproca, che i popoli europei hanno eletto insieme i loro delegati in un’assemblea comune che rappresenta più di 260 milioni di persone. Non si lasci adito a dubbi: queste elezioni sono una pietra miliare del percorso dell’Europa”.
Le fece eco a Roma Nilde Iotti, un passato di staffetta partigiana nella Resistenza, nel 1946 eletta fra i banchi della Costituente della Repubblica italiana. Da prima presidente donna della Camera dei deputati, dieci anni da parlamentare europea, nominata ma non eletta, affermò che le prime elezioni europee erano “un passo qualitativo verso la costruzione di una Europa unita, capace di contare nel mondo per una politica di disarmo, di pacifica coesistenza e di pace”.
Tratto da “Cos’è per te l’Europa” di Virginia Volpi per Feltrinelli, 144 pagine, 16,00 Euro.