Ringrazio ancora Mario Lavia per aver aperto un dibattito su Linkiesta interessante e molto utile. Non intervengo nel merito delle repliche rivolte a me perché spero che tale dibattito possa camminare nelle prossime settimane nel modo più aperto, rispettoso delle opinioni di tutti e in grado di chiarirci le idee anche attraverso un ascolto reciproco.
Puntualizzo solo alcune affermazioni che ritengo non corrispondere al mio pensiero e alle parole che ho scritto, probabilmente per una mia scarsa limpidezza.
In primo luogo, non sono l’ideologo di nessuno e tanto meno di Zingaretti. Sono infatti infastidito quando vengo chiamato in causa come “consigliere del Partito democratico”. Ho un pensiero che esprimo sempre in modo pubblico, con chiarezza e in autonomia.
Ho la mia storia che inizia nel Partito comunista italiano, a contatto e in amicizia con grandi personalità: Pietro Ingrao, Gerardo Chiaromonte, Paolo Bufalini, Enrico Berlinguer. Ho fondato il Partito democratico insieme a Walter Veltroni. Non sono stato io ad affossare quella straordinaria esperienza, semmai l’ho difesa fino all’ultimo.
Ho cercato di spiegare ogni mia scelta, e tutte le mie ragioni le ho rivolte con franchezza, innanzitutto ai militanti e agli elettori del Partito democratico. Ho amicizia per Zingaretti, ci scambiamo le idee ma siamo per molti aspetti diversi ed anche lontani.
In secondo luogo, mi si attribuisce la scarsa volontà di far tornare nel Partito democratico Carlo Calenda e Matteo Renzi. Non sono io ad aver portato Renzi e Calenda fuori dal Partito democratico. Non sono io ad aver usato il linguaggio di polemica, legittima, ma estrema e persino inappellabile di Renzi e di Calenda verso il partito.
Se mi rivolgo a loro per riallacciare un dialogo e per costruire una prospettiva unitaria, debbo per rispetto innanzitutto partire da quello che essi rappresentano oggi. Questo non significa che il Partito democratico rinuncia a una vocazione larga e riformatrice. Al contrario, partendo dalla realtà di oggi, cerca di allargare il campo dell’attuale alleanza di governo. Spetterà proprio alle forze liberali, oggi così frammentate, dire se ritengono questa prospettiva possibile, oppure se c’è una pregiudiziale inamovibile su Conte e i Cinquestelle.
Terzo: non penso affatto che in una competizione proporzionale si debba partire con una alleanza tra Partito democratico e Cinquestelle delegando a dopo le elezioni un dialogo con un eventuale più grande partito delle forze liberali e riformiste.
Se propongo uno schema con una alleanza a tre gambe, è con tale schema che si dovrebbe andare a elezioni; naturalmente sapendo che il proporzionale conclude un compromesso di governo solo dopo il voto. Grazie ancora dell’ospitalità.